SERPENTI E SESSO…………
FARE SESSO una volta e poi custodire lo sperma dentro di sé per oltre cinque anni, fino a quando non si è pronte. O ancora, fare tutto da sole, dando alla luce dei piccoli nel cui codice genetico non c’è traccia di padre. Sono meccanismi riproduttivi incredibilmente diversi dal nostro, ma la cui frequenza in natura sta emergendo negli ultimi anni grazie all’utilizzo di avanzate tecniche di analisi genetica.
L’ultimo episodio riguarda una femmina di crotalo diamantino orientale (una specie di serpente a sonagli) che ha lasciato tutti di stucco partorendo, dopo più di cinque anni di assoluta castità, ben diciannove serpentelli sani.
Ciò che fino a qualche tempo fa sarebbe apparso come un miracolo ha oggi un nome ed è sotto gli occhi vigili degli scienziati, che da esempi come questo sperano di comprendere meglio il funzionamento di quell’affascinante puzzle che è la vita. Stiamo parlando, dunque, di gravidanze vergini e a scoppio ritardato: in termini tecnici, partenogenesi facoltativa e immagazzinamento dello sperma a lungo termine.
Nel nido dei serpenti. Il ricercatore che si è occupato della super-mamma a sonagli si chiamaWarren Booth ed è un biologo molecolare della North Carolina di Raleigh. Insieme a Gordon Schuett, un collega della Gorgia State University, Booth ha descritto il suo studio accorpandolo al caso di un parto vergine ad opera di una testa di rame, un serpente velenoso diffuso nel Nordamerica orientale.
Le loro storie sono diverse e complementari. Nel caso della testa di rame, la femmina era stata raccolta in North Carolina nell’agosto del 2004, quando aveva meno di un anno, e messa in mostra in un acquario di Fort Fisher assieme a una compagna. Là, sotto lo sguardo sbigottito del personale, aveva partorito quattro figli, due dei quali vivi e vegeti. Dai test genetici è emerso che no, i serpentelli non avevano padre.
Nel primo caso, invece, il crotalo diamantino era stato catturato in Florida nel gennaio del 2005 e tenuto in un gineceo per i successivi cinque anni, fino a quando, nello stupore generale, non apparsero le 19 creature. In questo caso l’impronta genetica diceva l’opposto: lo “zampino” del maschio c’era stato, anche se molto tempo prima.
Nascite vergini: il meccanismo. “Nel primo caso parliamo di partenogenesi facoltativa, o nascita vergine, un fenomeno che consiste nella produzione di un embrione a partire da una cellula uovo senza il contributo dello sperma maschile”, ha spiegato Booth a Repubblica.it. “Si tratta di una forma di riproduzione asessuata, un meccanismo per generare la vita straordinariamente diverso dal nostro. Anche se nei serpenti - come in tutti i vertebrati - la riproduzione sessuale è la norma, sono stati riportati alcuni casi di partenogenesi facoltativa. La stessa cosa vale per diverse specie di squalo e rettili vari, tra cui il boa costrittore e il drago di Komodo (la più grande lucertola vivente, diffusa in alcune isole indonesiane, ndr)”.
“In generale - ha aggiunto il ricercatore - la partenogenesi naturale è stata osservata in tutti i lignaggi dei vertebrati dotati di mascelle, con l’eccezione dei mammiferi”. Ad oggi sono note due varianti: nella prima (quella presa in esame) i nuclei della cellula uovo si fondono con una parte della cellula stessa chiamata corpo polare. Nella seconda, l’embrione nasce dalla duplicazione dei cromosomi prima che si formino le cellule sessuali. Siamo dunque di fronte a un clone perfetto della madre, mentre nel primo caso la prole equivale a mezzo clone.
Gravidanze a scoppio ritardato. L’altro meccanismo di riproduzione, quello che ha visto protagonista il serpente a sonagli, è forse ancora più stupefacente. “L’immagazzinamento dello sperma a lungo termine avviene quando una femmina ha un rapporto sessuale e poi custodisce lo sperma per giorni, mesi o addirittura anni”, ha spiegato Booth.
“A un certo punto, durante l’ovulazione, lo sperma torna misteriosamente in circolo e fertilizza la cellula uovo. La prole, dunque, ha sia un padre che una madre”. L’episodio studiato da Booth e colleghi rappresenta il più lungo esempio di “sperm storage” nel regno animale di cui gli umani siano a conoscenza, fatta eccezione per gli insetti. La pratica, per ora, è stata documentata in pesci, uccelli, anfibi e altri rettili. I grandi esclusi sembrano essere i mammiferi, anche se un recente studio sul pipistrello giallo asiatico maggiore (tale Scotophilus) ha rivelato che le femmine di questa specie sono in grado di conservare spermatozoi per diversi mesi. Le donne, dal canto loro, li immagazzinano solo per ore o giorni.
Ancora un mistero. Pur privi del fascino dell’immacolata concezione, gli episodi di LTSS (Long-Term Sperm Storage) si portano dietro diversi quesiti irrisolti. Come fanno, infatti, queste femmine a custodire gli spermatozoi così a lungo? “Ancora non possiamo dirlo con certezza”, ha affermato Booth. “Crediamo che la femmina conservi lo sperma in strutture del tratto riproduttivo chiamate tuboli di immagazzinamento. Si tratta di strutture a vicolo cieco che sembrano capaci di catturare gli spermatozoi una volta che li incontrano. Un’altra ipotesi, osservata in alcune specie di serpente a sonagli, è che l’utero si contragga e aggrovigli dopo l’accoppiamento, bloccando così il viaggio dello sperma”.
La super mamma a sonagli della Florida, ad esempio, aveva poco più di un anno quando è stata catturata, non era sessualmente matura eppure aveva già avuto un rapporto. “Per quanto ne sappiamo - ha precisato lo scienziato - si tratta del più lungo immagazzinamento di sperma confermato dalla genetica in tutte le specie dei vertebrati”.
Prospettive future. A stupire in particolar modo i ricercatori è stata la constatazione che lo sperma, malgrado la lunga “attesa”, non ha mostrato segni di deterioramento, dal momento in cui tutti e 19 i piccoli erano sani e non sono state prodotte uova infertili. Secondo Paolo Prodohl, professore di Genetica alla Queen’s University di Belfast, il prossimo passo da compiere consiste nell’utilizzo di “robuste analisi genetiche” per distinguere le vere nascite vergini da quelle derivanti da “sperm storage”. Per Schuett, coautore dell’articolo assieme a Booth, “studi di questo tipo potrebbero beneficiare direttamente gli esseri umani, attraverso possibili scoperte sanitarie e rivelazioni in grado di migliorare la nostra stessa capacità di conservare gli spermatozoi”.
Fonte: Informambiente.it
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