mercoledì, aprile 20, 2011


Nimby, gli italiani si scoprono anti-rinnovabili



MILANO– E a pensare che sono nate da un’idea di Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, che da sempre è un fervente sostenitore delle centrali a biomasse, perché producono energia da materiali di origine organica senza aumentare l’anidride carbonica presente nell’aria. Ma ad essere guardati con sospetto, scontando gli effetti perversi provocati dalla cultura Nimby (not in my back yard, «non nel mio giardino») ora sono anche gli impianti eolici (sono 29 le contestazioni riscontrate nel 2010) e fotovoltaici (nove manifestazioni di protesta da parte di comitati di varia estrazione nell’anno passato).



L’INDAGINE– A rivelarlo l’Osservatorio Nimby, il termometro delle contestazioni ambientali in Italia, promosso dall’istituto di ricerca Aris. Che mette subito in risalto come la nascita di fenomeni spontanei, la creazione di comitati in seno alla società civile, spesso la sponda dei partiti politici, stia aumentando anno per anno la massa critica (e la capillarità sul territorio) delle contestazioni in materia ambientale. Nell’occhio del ciclone soprattutto il settore elettrico (il 58% del monte complessivo dei fenomeni di agitazione provengono da qui), a seguire i rifiuti (nel 32,5% dei casi) e molto di meno – e questo è un paradosso – le infrastrutture (5,3%) e gli impianti industriali (4,1%), quelli che teoricamente presentano un maggiore impatto ambientale.



LE RAGIONI – Popolo disinformato o semplicemente animato da una smania di rivalsa nei confronti di una classe politica che percepisce distante? Oppure una patria di sobillatori pronti a contestare ogni progetto sul territorio? Dice Alessandro Beulcke, presidente Aris, che il tutto è frutto di una serie di concause: «poca comunicazione, media disinformati, aziende reticenti, scarsa partecipazione ai progetti e soprattutto politica del consenso a breve termine». Se i corpi intermedi non svolgono il ruolo di depositari delle richieste dal basso e finiscono per canalizzare il dissenso, colpa è anche della poca conoscenza riguardo all’impatto ambientale degli impianti. Scrive il report di Aris che «le centrali a biomasse vengono confuse con gli inceneritori e la logica della contestazione tout court colpisce soprattutto i progetti ancora da realizzare (nel 62,8% dei casi, ndr.), spesso in attesa di ricevere le autorizzazioni necessarie o addirittura al mero stato di ipotesi».
 



LA POLITICA– Il termine chiave qui è Nimto (Not in my term of office, «non durante il mio mandato elettorale»), il trionfo del consenso a breve termine: sono sempre più i movimenti politici sul territorio a strumentalizzare la sindrome Nimby per fini elettorali. Ingolfando così la macchina amministrativa e provocando una serie di veti incrociati tra gli enti pubblici interessati alla realizzazione di un’opera in una determinata comunità. E se nella percezione dell’opinione pubblica i campioni del dissenso sono da sempre movimenti ambientalisti e no-global (culturalmente più vicini alla sinistra, per questo definita antagonista) la ricerca Aris finisce per smentire anche quest’ultimo luogo comune: le giunte comunali di centro-destra sono contrarie percentualmente quasi come quelle di centro-sinistra (19,1% contro 20,8%). Ma i campioni del Nimby sono soprattutto le liste civiche, che nascono trasversalmente agli schieramenti e alle ideologie e finiscono per polarizzare la protesta, sedimentando le spinte carsiche provenienti dalla società civile.



fonte: corriere.it


 



  

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