DECRESCITA INFELICE:
consumi energetici a picco e l’
ENEL che dice? Le famiglie italiane pagano poco
Spread o
non spread che migliora, se c’è una cosa certa, questa è che l’Italia da tempo
è in una pesante decrescita. L’ennesimo bollettino dell’Istat sulla produzione
industriale dice che ad aprile 2013 è diminuita dello 0,3% rispetto a marzo e del
4,6% rispetto ad aprile 2012. Non solo, sempre secondo l’Istituto, nel primo
trimestre 2013 il Pil è diminuito dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e
del 2,4% rispetto al primo trimestre 2012. Se si incrociano questi dati con
quelli sulla disoccupazione, si vede bene come il rapporto sia direttamente
proporzionale e, se tanto ci dà tanto, il grado di felicità della suddetta
decrescita ci pare ai minimi.
Per
contro, l’ambiente potrebbe ringraziare la crisi visto che i consumi (di
energia e di materia) sono in netto calo: -2,3% per l’energia e -14,8% per il
settore che, in termini tendenziali, registra in aprile la più ampia variazione
negativa: ovvero, l’attività estrattiva.
Ancora
una volta, dunque, dal nostro punto di vista non è utile constatare quanto in
basso stiamo andando, ma come si possono invertire le cose prendendo il buono
della crisi, ovvero la connessione (anch’essa diretta) tra riduzione del Pil e
riduzione degli impatti sull’ambiente. Questo è il nodo. Far ripartire
l’economia, perché senza non c’è felicità almeno per la stragrande maggioranza
delle persone, ma senza compromettere le risorse. Come? Cercando il più
possibile di scegliere cosa vogliamo che cresca. A partire dal lavoro che deve
essere di più – e l’ambiente ne offrirebbe molto, a partire dalla manutenzione
dell’esistente – all’efficienza e alla rinnovabilità energetica e della
materia.
Ma già
qui non sarà facile mettersi d’accordo: uno dei guai, leggendo ad esempio l’ad
di Enel Fulvio Conti (intervenuto sull’inserto Corriereconomia di oggi) è che i
consumi di energia stanno crollando, tanto che starebbero tornando a quelli del
2002. E se da una parte è ovvio che l’ad di un’azienda che produce energia non
possa non sperare che i consumi aumentino, perché così fa più profitti,
tuttavia l’Enel è anche una società pubblica (il Ministero
dell’Economia e delle Finanze italiano è ancora l’azionista di
riferimento), dunque ha la necessità di ridurre i consumi, come richiesto anche
dai patti dell’Ue. Come si concilia tutto questo? Fosse per Enel, tra l’altro,
si sarebbe da un pezzo tornati all’utilizzo del carbone, per non dire del nucleare,
e la scelta con Enel Green Power di investire nelle rinnovabili non compensa
certo questi reiterati tentativi di ritorno al passato.
Ma la
cosa sorprendente è che nell’incastro tra sostenibilità economica, ambientale e
sociale, nell’intervista di Conti emergono elementi finora non emersi nella
discussione che vedeva da una parte quelli che dicono che le rinnovabili hanno
ingigantito la bolletta e poco altro, e quelli che invece ne rivendicano i
benefici per l’economia e per l’ecologia.
E Conti
ad esempio spiega bene le virtù e gli attuali limiti delle rinnovabili: «È
evidente – spiega l’ad Enel – che le rinnovabili giocano un ruolo sempre più
importante. In alcuni momenti della giornata arrivano a copri re fino al 50%
del fabbisogno, per poi crollare anche sotto al 10%. Si tratta di oscillazioni
pericolose se non supportate da un sistema di riserva. Ci sono impianti che
ormai lavorano 500 ore all’anno, ovvero il 5-6% della loro potenzialità; ma
vanno mantenuti e spesati perché senza di essi non avremmo tutta l’energia che
ci serve». Conti però prosegue, e dopo aver ricantato le lodi a carbone e
nucleare – «In Francia circa l’80% è nucleare, la Germania ha molto carbone e
lignite, peraltro sussidiati, e nucleare. Se in Europa il costo opportunità è di
40 euro al megawattora, da noi è a 60 euro» – aggiunge che «gli altri
Paesi fanno anche altre scelte»: «Prendiamo ancora la Germania. La signora
Maria italiana paga l’energia elettrica 19 centesimi al kilowattora, quella
tedesca quasi 26: insomma, là le famiglie pagano di più. Sulle grandi industrie
non c’è molta differenza. A soffrire, in Italia, sono invece le piccole e medie
imprese: è su di loro che si scaricano i costi. In Germania, che ha più o meno
la stessa proporzione italiana di piccole e medie imprese, hanno invece scelto
di esentarle da pesi eccessivi, rovesciando gli oneri accessori sui cittadini».
E qui
scatta la domanda che invece il giornalista del Corriere non ha fatto, ovvero:
«Che cosa vuol dire con questo?». Perché la risposta cambia totalmente il senso
di queste affermazioni. Se infatti per Conti la risposta è che fanno bene in
Germania a far pagare ai cittadini quei costi, ci sarebbe davvero da rimanere
senza fiato. Di fronte al liberismo sfrenato richiesto dalle aziende (grandi o
piccole che siano) anche in Italia si pretenderebbe invece che gli oneri
ricadessero ancora una volta sui cittadini? Come se peraltro i costi della
bolletta cara per le piccole imprese non fosse già questa scaricata sui
prodotti finali messi in vendita, e quindi sui cittadini stessi. Diversamente,
può anche darsi che Conti intendesse dire che noi in Italia siamo bravi perché
in Germania fanno ricadere tutto sui cittadini, ma il dubbio resta.
Come si
vede la sostenibilità ambientale, sociale ed economica non vanno a braccetto se
non si capiscono e non si mettono in buon ordine le priorità. Se dall’energia
ci spostiamo alla materia, infatti, le cose non stanno diversamente. Finché
l’economia tirava, il problema era dove mettere la spazzatura per qualcuno e
come ridurre e gestire al meglio i flussi di materia per quelli che avevano una
visione più completa del problema. Di fronte (almeno in Europa) ad
un’inversione del trend, si vede bene che non si sa che pesci prendere perché
quegli auspici di riduzione dei consumi evidentemente erano, nella migliore
delle ipotesi, tali. Con un’aggravante rispetto alla Germania: quello è un
Paese che ha un chiaro Programma energetico nazionale e che è stata in grado di
rivederlo in corsa dopo Fukushima Daichi (e che già oggi vende in inverno
energia eolica alla nucleare Francia), l’Italia, grazie anche alle pressioni
delle nostre multinazionali semi-statali e alle amicizie con l’oligarchia
energetica russa (per non parlare di Gheddafi e dei dittatori arabi vecchi e
nuovi…) quel Piano non ce l’ha. (fonte: green report)
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