mercoledì, febbraio 05, 2014

RESTE



 ANCHE I PESCATORI LI PESCANO!
SONO ANNI CHE DENUNCIAMO QUESTO DEGRADO

Le "calze" delle cozze impigliate nelle reti: fondali pieni, mare inquinato e danni alla pesca
Centinaia di involucri per l’allevamento delle cozze nere impigliati nelle reti di un’imbarcazione della piccola pesca: il giovane operatore ittico termolese Nicola Greco lancia l’allarme. «Sul fondale c’è un tappeto, ed è un grosso rischio per l’ambiente marino. Le reti che provengono da qualche impianto di mitilicoltura dell’Adriatico sono state tagliate col coltello e gettate in acqua».

Termoli. Due sacchi neri, pieni, sulla banchina del porto vicina alla Capitaneria, dove ormeggiano le imbarcazioni della piccola pesca. Nicola Greco, giovane pescatore, li svuota, e la prua della sua barca si riempie di pezzi tranciati di reti plastica, quelle utilizzate per l’allevamento delle cozze nere, negli impianti di mitilicoltura.
Nel gergo della marineria si chiamano “calze”, “cavezétte” in dialetto termolese. «I fondali del mare sono pieni di queste calze che danneggiano notevolmente il mare e la nostra attività», racconta. Quei due sacchi sono stati riempiti al ritorno da una battuta di pesca, a due miglia dal porto: «Sono rimaste impigliate nelle maglie delle mie reti, lunghe tre chilometri, posizionate a 21 metri di profondità», aggiunge il pescatore. Che fa notare, mostrando i frammenti di reti che ha in mano, che non si tratta di un ritrovamento casuale, dovuto alla forza delle correnti che li hanno sfilati da uno dei tanti impianti dell’Adriatico e trascinati fino al tratto di mare molisano, ma alle estremità dei nodi c’è un taglio netto: «Sono state tagliate con il coltello, è ben evidente, e quindi gettate in acqua».
Ed è così che il fondo marino diventa un tappeto di “calze”, che contribuiscono a inquinarlo e creano disagi anche per gli stessi pescatori, che riportano a terra le loro reti praticamente vuote di prodotti ittici e piene degli scarti di lavorazione: «Anche per noi la fatica aumenta ancora di più, ci vogliono ore e ore per liberare le nostre reti, e chi ci risarcisce?».
E’ una questione di rispetto per l’ambiente e per un lavoro che dovrebbe avere come parola d’ordine la ecosostenibilità.
«Non siamo spazzini, non è possibile che accadano queste cose, il mare è una risorsa preziosissima», dice ancora Nicola, che sporgerà denuncia contro ignoti in Capitaneria.
Come lui stesso rimarca, «è notizia di qualche giorno fa che il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) ha avviato uno studio proprio sull’impatto ambientale delle reti degli allevamenti delle cozze nere sulla catena alimentare. Si tratta di materiali che non si decompongono, e incidono molto negativamente sull’habitat marino e di conseguenza possono arrivare anche sulle nostre tavole trasformate in cibo».
(Pubblicato il 05/02/2014 da Primonumero)


 

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