INCHIESTA/ Italia, il paese delle grandi opere. Incompiute
Berlusconi è a pezzi, il suo partito è dilaniato dalle correnti interne, la Lega ce l'ha flaccido come il suo fedele alleato e il Governo...E il Governo continua a promettere, come un vecchio marinaio che non ha più storie da raccontare. Ricordate le Grandi Opere? In quel famoso 14 Dicembre 2010, il Premier chiese (e ottenne..) la fiducia puntando anche sui mega appalti da regalare agli amici che minacciavano infedeltà. Pilu e cemento, diktat berlusconiano che ha ispirato Cetto La Qualunque. E l'Italia è diventato il Paese delle Grandi Opere. Incompiute.
di Carmine Gazzanni
Può una città di appena 27 mila abitanti finanziare la costruzione di uno stadio di polo i cui lavori, in realtà, non verranno mai ultimati? Può una diga essere costruita senza la necessità di contenere grosse quantità d’acqua e poi lasciata marcire perché da un giorno all’altro non ci si vede più alcuna utilità? Può essere presentato in una città di 20 mila abitanti un progetto per la costruzione di un auditorium che supera i 2 mila posti, con la consapevolezza che i lavori certamente si ingarbuglieranno? Ebbene si, nel Paese delle opere incompiute succede: rovine, ecomostri, aborti edilizi voluti già morti da una corruzione politico-mafiosa dilagante, che certamente non si danna per gli interessi della collettività e per il bene comune.
In effetti, non a caso, non solo l’Italia è il Paese delle opere incompiute ma è anche il Paese con uno tra i più alti tassi di corruzione al mondo. Soprattutto in relazione, appunto, ai grandi appalti pubblici. Questo, chiaramente, non è una prerogativa esclusiva delle aree a tradizionale presenza mafiosa, ma può considerarsi endemica nell’intero Paese. Senza dubbio, però, come vedremo, le dinamiche corruttive che tendono a realizzarsi in alcune regioni meridionali si distinguono per il peculiare (e spesso centrale) ruolo svolto dalle criminalità organizzate, che assumono su di sé la funzione di regolatori dello scambio occulto tra Stato e imprenditoria locale.
Pensare, tuttavia, che le responsabilità siano esclusivamente criminali, sarebbe riduttivo. Le risorse pubbliche, nonostante i continui bandi e le continue promesse dei Governi, sono mal gestite: soldi buttati via e servizi non resi ai cittadini. Danno emergente e lucro cessante, come dicono i ragionieri. Basti, d’altronde, analizzare alcuni dati: nel 2001 Silvio Berlusconi in una conferenza a Palazzo Chigi presentò per la prima volta il piano delle Grandi Opere; dopo dieci anni alcune di quelle opere ancora non sono state ultimate. Tra le promesse avanzate nel 2001, infatti, già comparivano progetti quali – solo per citare i più noti - “l’asse stradale Salerno Reggio Calabria Messina Palermo Catania” o “il Ponte sullo Stretto di Messina”. Ma in realtà molte altre opere sono rimaste e rimangono al palo tuttora: recenti studi hanno documentato che ancora il 55,07 % delle opere deliberato dal Governo sia ancora allo stato di progettazione o comunque non abbia ancora visto l’apertura dei cantieri; il 19,72%, invece, sarebbe stato ultimato (o ancora dev’essere collaudato); il 25,21% sarebbe in fase di realizzazione. Senza dimenticare, inoltre, che, mentre le opere da completare crescono a dismisura, i finanziamenti scendono drasticamente: l’attuale programma per le infrastrutture strategiche del Governo ha un costo complessivo preventivato di 233.136 milioni di euro e di questi ne sono stati resi disponibili con appositi stanziamenti solo 92.036.
Le domande, a questo punto, sorgono spontanee.
Perché le Grandi Opere restano uno dei punti prioritari di tutti gli ultimi Governi, nonostante il momento di recessione economica che stiamo vivendo? Perché si continua ad insistere su diversi progetti quando è ben noto che i finanziamenti non riusciranno a coprirli tutti? E ancora: perché si continua ad insistere su opere monumentali quando, in realtà, il nostro Paese necessita innanzitutto di una miriade di piccoli o medi interventi legati alla manutenzione del territorio e alla gestione dell’esistente?
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