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martedì, febbraio 02, 2016

Inchiesta/Ecco come ci stanno avvelenando, viaggio all’interno del depuratore del Liscione tra condizioni igieniche scadenti e personale inadeguato

MICHELE MIGNOGNA
Condizioni igieniche del tutto scadenti, personale senza nessuna specializzazione alla manipolazione delle sostanze chimiche, montagne di soldi pubblici buttati al vento in appalti e servizi del tutto inesistenti, ecco in che condizioni versa il depuratore della Diga del Liscione, l’invaso dal quale i comuni del basso Molise, oltre 110.000 abitanti, prelevano acqua che i buontemponi di Molise Acque definiscono potabile.
Il nostro viaggio raccapricciante è stato fatto non molto tempo fa proprio all’interno dell’impianto di depurazione delle acque della diga del Liscione a valle dell’invaso, e la prima cosa che si nota è la sciatteria e le condizioni igieniche in cui versa, materiale gettato alla rinfusa dove capita, bidoni con il cloro alla mercè di tutti, impianto elettrico talmente precario che non si riesce a capire come possa ancora funzionare.Il personale in servizio in questo impianto inoltre, non ha nessuna qualifica, dico nessuna, per poter manipolare le sostanze chimiche utilizzate nel processo di potabilizzazione, si fa come dire, a naso, o se preferite a orecchio. Nelle foto è possibile anche vedere che i bidoni che contengono il cloro e il biossido hanno un tubicino che va direttamente nelle vasche, chi fa i dosaggi? Chi controlla che le quantità siano giuste? Soprattutto chi garantisce che la depurazione viene fatta rispettando i parametri sanitari? E poi ruggine ovunque, scale arrugginite che arrivano fin dentro le vasche che contengono l’acqua che utilizziamo in basso Molise, pareti scrostate, vasche di decantazione piene di fango molto strano sia nell’odore sia nella consistenza e pensare che non molto tempo fa l’ente ha investito un bel po’ di soldini proprio per la ristrutturazione dell’impianto, ma se le condizioni oggi sono queste, non oso nemmeno pensare a come potevano essere prima dei lavori. La cosa che più di tutte deve farci riflettere è che il personale che dosa ogni giorno il cloro nelle vasche non ha nessuna specializzazione, infatti, a Molise Acque non risulta in organico né un chimico, tanto meno un biologo, per ovviare a queste mancanze da alcuni anni Molise Acque ha dato in appalto i “servizi chimici” alla Ecogreen di Campobasso, solo che Molise Acque deve fornirle sedi, materiali, mentre la Ecogreen fornisce solo le analisi, ma non quelle più complesse, per intenderci, se Molise Acque utilizzasse il laboratorio del COSIB, risparmierebbe e avrebbe analisi migliori, ma soprattutto avrebbe tutte le tipologie di analisi.
Il personale utilizzato per trattare chimicamente l’acqua è quasi tutto personale interinale, che lavora senza sistemi di protezione e senza formazione, insomma vengono buttati nell’arena e fanno quel che possono, il tutto sotto gli occhi di tutti. In questo modo si sta procedendo al sistematico avvelenamento di migliaia di cittadini in tutto il basso Molise, tutti sanno nessuno interviene a partire dagli enti preposti al controllo, ASREM, NAS e ARPA.

domenica, settembre 27, 2015

CONDIVISIONE

Carissimi,

secondo i dati dell’ultimo quaderno Svimez, il Mezzogiorno sta rischiando il sottosviluppo permanente. E il nostro Molise – che a fine anni ’90 si stava allineando ai parametri del Centro Italia – negli ultimi dieci anni è stato risucchiato dalla stagnazione meridionale, nonostante ricevesse fondi aggiuntivi per la ricostruzione post- sisma e per l’articolo 15.

TALE DISASTRO NON NASCE DAL CASO

Ed è per questo che vogliamo denunciare pubblicamente gli errori e le insufficienze della classe dirigente della nostra regione. Intendiamo farlo con precisi riferimenti a responsabilità e a fatti che sono sotto gli occhi di tutti, a partire dal diffuso malgoverno e dall’uso privato della politica e delle istituzioni.

NON POSSIAMO E NON VOGLIAMO TACERE

Sentiamo, al contrario, il dovere di fare una proposta che aiuti ad evitare il baratro e che abbia al centro un nuovo e democratico sviluppo del territorio. Ecco alcuni temi che vogliamo proporre all’attenzione di quanti hanno l’obbligo di mettere in campo una precisa strategia di rilancio del Molise: la valorizzazione della cultura, della formazione e della ricerca; un uso radicalmente diverso dei fondi strutturali; una gestione efficace e trasparente delle risorse destinate all’area di crisi; una fiscalità di vantaggio per le attività produttive innovative e sostenibili; il sostegno alla clean economy; il potenziamento dei servizi e delle infrastrutture.

C’E’ BISOGNO DI UNA FORTE INIZIATIVA DEMOCRATICA PER FAR RIPARTIRE IL MOLISE, INSIEME AL RESTO DEL MEZZOGIORNO

La Fonte vi invita a costruire insieme le alternative da esporre, nel corso di una tavola rotonda- conferenza stampa che si terrà a Termoli sabato 3 ottobre. Vi preghiamo di fornirci, entro martedì’ 29, la vostra eventuale disponibilità ad essere tra i promotori dell’iniziativa. Seguiranno aggiornamenti su luogo, ora e programma.


Grazie e a presto

lunedì, dicembre 08, 2014

Orso bruno avvistato vicino centrale Cernobyl
Da cento anni non si vedeva questa specie nella regione


Un orso bruno è stato fotografato vicino alla centrale nucleare di Cernobyl dalle fotocamere sistemate nell'ambito di programmi per il controllo della radioattività. Non si segnalava una simile presenza nella zona da un secolo e ciò - nota il quotidiano britannico Daily Mail che pubblica le foto - suggerisce una curiosa relazione tra diastri atomici e vita degli animali selvatici. Dopo l'incidente del 1986 è stata creata una "zona di esclusione" dal raggio di 30 chilometri e in cui fino a quel momento abitavano oltre 100mila persone. E' così stata involontariamente istituita una sorta di riserva naturale, dove gli animali possono vivere senza subire pressioni da parte dell'uomo. Non è la prima volta che in quest'area - definita dal giornale un paradiso naturale - vengono visti grandi mammiferi. Le fotocamere automatiche avevano già inquadrato cavalli, linci, lupi grigi, cinghiali. Ma è la prima volta che viene visto l'esemplare di una specie animale che era assente dalla zona da più di un secolo. La fusione nucleare che avvenne a Cernobyl nell'aprile 1986 ha provocato una grande dispersione di radioattività che dall'Ucraina si è sparsa in molti territori europei, Si calcola che la bonifica, ancora in corso, sia costata 18 miliardi di dollari.


domenica, dicembre 07, 2014

TROPPE DISCARICHE DI RIFIUTI IN ITALIA, SARANNO PIENE TRA DUE ANNI

ROMA - Con la nuova direttiva, l'Europa si prepara ad abbattere le quantità di rifiuti in discarica e ad aprire le porte a 870 mila nuovi assunti per rilanciare il settore. Ma l'Italia rischia di arrivare in ritardo all'appuntamento, appesantita da una lunga stagione di arretratezza gestionale che ha saturato gli spazi a disposizione: tra due anni le discariche esistenti saranno stracolme. Dove finiranno i 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti ogni anno?
L'allarme viene dal primo WAS Annual Report, il rapporto sulla gestione dei rifiuti preparato dalla società di ricerche Althesys: "Il mix italiano rimane ancora troppo sbilanciato sulle discariche  che in alcune aree del Paese sono la destinazione finale di oltre il 70 per cento dei rifiuti urbani prodotti. In questo quadro generale, le situazioni più critiche si registrano in Sicilia, Calabria, Lazio, Puglia e Liguria. Con i ritmi attuali di smaltimento, le discariche italiane si esauriranno entro i prossimi due anni".
Dunque non c'è solo il dramma della Terra dei fuochi e l'insidiosa mancanza di alternative che si è creata a Roma dopo l'annunciata chiusura di Malagrotta. Il ritardo è più generalizzato e riguarda il 42,3 per cento di rifiuti che continua a prendere la strada della discarica: una percentuale alta in modo anomalo che sbilancia l'intero sistema scoraggiando gli investimenti sulle filiere più avanzate. Ad esempio sul recupero dei materiali che provengono dalla raccolta differenziata, in particolare dall'umido che ormai viaggia a livelli soddisfacenti in molte aree del Paese, compresa la Campania (con l'eccezione di Napoli).

Secondo il Was, l'Italia è in deficit sia sul piano della capacità di incenerimento che  -  soprattutto  -  sul riciclo: "La revisione delle principali direttive Ue che regolano il settore fisserà obiettivi al 2030 molto sfidanti, come l'aumento del riciclo al 70 per cento e la sostanziale eliminazione delle discariche. Per arrivare a questo traguardo bisogna puntare sull'industrializzazione e sul consolidamento del settore, che ad oggi continua ad essere molto frammentato". Tra l'altro sono proprio le regioni meno dotate di discariche a norma quelle con i livelli di raccolta differenziata più bassi: ennesima dimostrazione di un ritardo nella gestione che abbraccia tutte le filiere.
"L'Europa si prepara a fare un altro salto: perdere questa opportunità vorrebbe dire rinunciare a decine di migliaia di posti di lavoro e rendere meno competitivo l'intero sistema produttivo nazionale", spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys. "Mentre mettersi in linea con Bruxelles significa ottenere vantaggi consistenti in termini di occupati, fatturato, emissioni serra evitate, diminuzione dell'impatto ambientale del ciclo dei rifiuti. La posta in gioco è un pacchetto di vantaggi al 2030 che per l'Italia vale 15 miliardi di euro".

giovedì, dicembre 04, 2014

italia condannata

ITALIA CONDANNATA: MULTA DA 42 MILIONI DI EURO OGNI 6 MESI

BRUXELLES - L'Italia non ha rispettato la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2007 che ha constatato l'inadempimento alle direttive sui rifiuti. Per questo il nostro Paese è stato condannato a pesanti sanzioni pecunarie che prevedono il versamento di 40 milioni ogni sei mesi fino all'esecuzione della sentenza.
Galletti: "Non pagheremo un euro". "La sentenza della Corte di giustizia Europea sanziona una situazione che risale a sette anni fa. In questo tempo l'Italia si è sostanzialmente messa in regola", spiega il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti. "Siamo passati - spiega il ministro - da 4.866 discariche abusive contestate a 218 nell'aprile 2013. Una cifra che a oggi si è ulteriormente ridotta a 45 discariche. Con la legge di Stabilità 2014 sono stati stanziati 60 milioni di euro per un programma straordinario che consentirà di bonificare 30 delle 45 discariche rimaste, anche attraverso gli accordi di programma sottoscritti in questi giorni con le regioni Abruzzo, Veneto, Puglia e Sicilia. Le restanti 15 discariche abusive saranno bonificate con un ulteriore impegno di 60 milioni di euro". Galletti ha assicurato che "andremo in Europa con la forza delle cose fatte, lavorando in stretta collaborazione con le istituzioni Ue, per non pagare nemmeno un euro di quella multa figlia di un vecchio e pericoloso modo di gestire i rifiuti con cui vogliamo una volta per tutte chiudere i conti".

Le sentenze. Con una prima sentenza, nel 2007, la Corte ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti. Nel 2013, la Commissione ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche situate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva "rifiuti"; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva "rifiuti pericolosi"; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva "discariche di rifiuti". La Corte ricorda innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla  direttiva "rifiuti". Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. L'Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato.
Le sanzioni. La Corte trae la conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi. Di conseguenza, la Corte condanna l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni. La Corte rileva poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte condanna quindi l'Italia a versare una penalità semestrale a partire da oggi e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200mila euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre.
Multa record. La maximulta forfettaria di 40 milioni di euro, spiega un documento della corte Ue, è la sanzione pecuniaria più pesante mai inflitta dalla Corte europea da quando i Trattati le danno il diritto di imporre multe agli stati, e cioè dal 1992. Fino a oggi la multa forfettaria più eleveta era stata inflitta dalla Corte sempre all'Italia nel 2011 per aiuti di Stato illegali nella forma di sgravi fiscali per contratti di formazione lavoro. In quel caso la multa forfettaria era stata di 30 milioni e ha rappresentato il record fino ad ora. In totale la Corte ha inflitto finora una decina di multe, due delle quali all'Italia. Le altre hanno colpito Francia, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. La Grecia è il paese che ne ha ricevute di più. (Fonte l’Espresso)





mercoledì, dicembre 03, 2014

ELETTROSMOG


AMBIENTE & VELENI
Sblocca Italia e elettrosmog: antenna selvaggia, i rischi legalizzati
Elettrosmog e Sblocca Italia, subito rinominata ‘Sblocca Antenne’. All’art. 6 “Agevolazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga” si insinua una mimetizzata deregulation per l’avanzata delle prossime infrastrutture a supporto della connettività permanente via cellulare: il trucco della legge Renzi sta nell’assenza di autorizzazioni per le multinazionali delle telecomunicazioni assegnatarie delle frequenze bandite dall’ultimo governo Berlusconi, che con l’escamotage dell’autocertificazione per manutenzione/modifica degli impianti già esistenti (le antenne spuntate come funghi sui palazzi!) potrebbero installarne indiscriminatamente di più forti e potenti, senza chiedere niente a nessuno.
E’ al varco l’irradiamento della frontiera della rete 4G (Quarta Generazione, Long Term Evolution, LTE): prevede l’innalzamento di quantità e velocità di trasmissione dati fino a 42M/bit al secondo (contro i 3 M/bit attuali, tecnologia 3G) per migliorare performance di onde Wi-Fi e prestazioni di smartphone, tablet&C. con l’inevitabile rischio di sforare i limiti soglia da inquinamento elettromagnetico. Che vuol dire? Che per ‘infondere’ la 4G dovranno rifare ex novo i ripetitori, perché quelli attuali sostengono un’altra tecnologia! E come li rifaranno? Senza autorizzazioni, grazie allo Sblocca Italia! E col pericolo di ulteriore elettrosmog!

Lo stratagemma, bypassando nulla osta paesaggistici sull’impatto ambientale, incoraggerebbe una prevedibile semina di antenne selvagge nuove di zecca, sempre più insidiose per la salute pubblica, visto l’esponenziale incremento di popolazione elettrosensibile e i casi di ripetitori fuori norma, non tutti monitorati delle ARPA regionali (6 V/metro il massimo nei centri abitati, spalmati nella rilevazione di 24 ore grazie alla furbizia dell’abbattimento dei picchi diurni nella notte – regalino alle TLC del Governo Monti – nonostante lo 0,6 V/metro da esposizione esterna cumulativa sia invece il limite per effetti biologici sull’uomo sostenuto nel Report 2012 dagli scienziati indipendenti del Bio Initiative Group).
Argini in costruzione invece a Roma. Dopo 20 anni di attesa e l’insabbiamento di una prpposta di iniziativa popolare supportata da 23.000 firme di cittadini, vagliati i pareri dei municipi, è prossimo al voto di Commissioni (Urbanistica e Ambiente) e Aula in Campidoglio il ‘Regolamento di Roma Capitale’ per disciplinare la giungla imperversante di antenne e ripetitori da inquinamento elettromagnetico. “Siamo cautelativamente ottimisti – la sintesi di Giuseppe Teodoro, portavoce del Coordinamento Comitati Romani contro l’Elettrosmog, intevenuto ieri ai microfoni de Il Nemico Invisibile, trasmissione radiofonica condotta dal giornalista Alessio Ramaccioni (coautore del libro inchiesta Onde Anomale – Editore Internazionale Riuniti)  – Vigileremo affinché il testo non sia aggredibile dai ricorsi delle compagnie telefoniche. Vorremmo un Regolamento dalle 3P:Pianificazione, Precauzione e Partecipazione popolare. Serve un catasto per Roma per mappare gli impianti in città, un registro per le indagini epidemiologiche che quantifichi le malattie ambientali e gli ammalati, oltre sanzioni certe per le antenne oltre i valori soglia”. Cioè fuori legge. Ovvero coniugare libertà di comunicazione, diffusione di tecnologie e tutela della salute. Pare poco, ma sarebbe il giusto.
Infine dal Centro di Riferimento della Regione Lazio per la diagnosi della Sensibilità Chimica Multipla (MCS è malattia ‘gemella’ dell’Elettrosensibilità) in questi giorni è stato rimosso il Prof. Giuseppe Genovesi, responsabile della struttura nello Sportello delle Malattie Rare al Policinico Umberto I di Roma, punto di riferimento per i malati di tutta Italia: “per motivazioni molto vaghe”, sostiene lui stesso sulla pagina Facebook. Strana coincidenza: l’incarico viene sollevato a Genovesi subito dopo l’intervista andata in onda la scorsa settimana su Italia 1, nel servizio “L’inquinamento che uccide!”. Informare l’opinione pubblica della pericolosità delle malattie ambientali fa più male… del male? (Fonte:il fatto quotidiano)




  

martedì, dicembre 02, 2014

TUMORI

INQUINAMENTO AMBIENTALE E TUMORI:
CI SONO POSTI IN CUI SI MUORE IN SILENZIO

i sono posti in cui ci si ammala e si muore in silenzio. Nel silenzio dei vivi. Specie di quelli che contano. Anche quando questo accade in maniera seriale. Anche quando le cause di quelle malattie e di quelle morti, con elevata probabilità logica, stanno nell’ambiente di quegli stessi posti; nella loro aria, nella loro acqua, nella loro terra, nei loro luoghi di vita e di lavoro. Brindisi è uno di quei posti. Le ragioni di quel silenzio possono essere varie.
Per esempio, la vicinanza “oscurante” con altri luoghi certamente ancora più martoriati nell’ambiente e nella salute pubblica, nei quali ultimi, però, vi sia anche un’altra, migliore, situazione socio-ambientale: una magistratura requirente più reattiva; un sistema dei mezzi d’informazione, locali e nazionali, più vigile; una cittadinanza, nel suo complesso, appena meno catatonica sotto il profilo civile. Uno di questi ultimi posti è Taranto. Nell’immaginario collettivo nazionale (e ormai internazionale), l’emergenza ambientale e sanitaria in Puglia è Taranto. E’ certamente vero.
A Brindisi si registra un costante eccesso di mortalità maschile, dagli anni ’80 fino all’ultimo dato del 2009; una prevalenza di Broncopatia Cronica Ostruttiva nelle donne del capoluogo; una maggiore incidenza e mortalità per alcuni tumori in prossimità dell’area industriale; un aumento complessivo del tasso di incidenza per tutti i tumori dal 1999 al 2006; una maggior incidenza di malformazioni neonataliin corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa (un marcatore di emissioni energetiche); incrementi di ricoveri e decessi per malattie cardio-respiratorie in corrispondenza di innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall’area industriale.
Questi sono dati sanitari acquisiti grazie a studi scientifici e a scienziati affidabili, anche perché indipendenti. Ma restano solo una fredda rilevazione scientifica, priva di ogni conseguenza “legale”. Anche quando questi dati parlano, urlano di patologie, di decessi di origine ambientale. Malati e morti a cui, quindi, si dovrebbe rendere almeno giustizia, se non si è stati capaci di evitarli.
Ma a Brindisi è storicamente più difficile avere giustizia, specie per chi si ammala e muore “di ambiente”, specie di ambiente di lavoro. In tutta Italia, da Mantova a Taranto ad Avellino, si esercita l’azione penale o addirittura si condanna per le morti da mesotelioma. E’ un tumore rarissimo e vuol dire esposizione all’amianto, dunque, con elevata probabilità logica, significa violazione della normativa in materia ambientale e, soprattutto, di sicurezza sul lavoro da parte di chi era tenuto a osservarla.
A Brindisi, un oncologo, il dott. Maurizio Portaluri, primario del reparto di radioterapia dell’Ospedale Perrino, denuncia di aver refertato all’Autorità Giudiziaria, dal 2001 al 2013, 5 mesoteliomi in lavoratori delle industrie brindisine, oltre a vari altri tumori (tra cui l’altrettanto famigerato angiosarcoma) estremamente indicativi di esposizioni professionali.  Ad oggi non risultano processi penali per questi fatti. Forse le indagini sono in corso.
Sono certamente indagini complesse, richiedono tempo, specie per l’individuazione dei possibili responsabili delle azioni od omissioni penalmente rilevanti. Ma il codice di procedura penale afferma ancora che, per questo tipo di reati, le indagini preliminari durano “6 mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato”, prorogabili per lo stesso termine “per non più di una volta”.
E quei referti, a quanto dice l’oncologo, sono arrivati in Procura da anni. “Quando si muore, si muore soli”, canta il poeta di via Del Campo. Quando si muore senza giustizia è peggio, anche per chi resta. Perché rendere giustizia a chi è morto in maniera “innaturale”, a tacer d’ogni altra considerazione, resta il modo migliore per prevenire altre morti analoghe. (Fonte: Ambiente & Veleni)


lunedì, dicembre 01, 2014

INQUINAMENTO DA OZONO, ITALIA MAGLIA NERA D’EUROPA:
3400 MORTI OGNI ANNO


Italia: terra di mare, boschi e colline e  aria inquinata. E’ il nostro il Paese in Europa con il più alto numero di morti premature per inquinamento da ozono, con circa 3.400 vittime all’anno. Il secondo poi per le polveri sottili, con oltre 64mila morti, preceduta solo dalla Germania, terra di industria pesante, miniere di carbone, acciaierie e industrie chimiche. A dirlo è l’ultimo rapporto Air Quality 2014 dell’Agenzia europea dell’ambiente
Di buone notizie non ce ne sono. Nonostante infatti la riduzione delle emissioni e delle concentrazioni di alcuni inquinanti nell’aria negli ultimi decenni, il rapporto dimostra che l’inquinamento atmosferico è ancora il principale nemico dell’ambiente, collegato a filo diretto con la salute umana. Si parla di milioni di persone con problemi respiratori o cardiaci, costretti ad alternarsi tra il medico di base e il farmacista. E di 400mila morti premature in Europa (dato 2011) per malattie al cuore, ai polmoni o ictus. Questo perché, secondo la relazione, quasi tutti gli abitanti delle città (circa il 95%) vive sotto un cielo inquinato, anche, chiaramente, i bambini. Le percentuali di sostanze inquinanti superano, infatti, nella maggior parte delle 400 città analizzate, i livelli ritenuti non sicuri dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Stiamo parlando di polveri sottili, monossido di carbonio, ossidi di azoto, ozono, metalli tossici, benzene e molto altro. Immessi nell’aria da industrie, auto, rifiuti, agricoltura intensiva. Sono sostanze estremamente pericolose per l’organismo umano ma tutte presenti nell’aria a quantità, in alcune Paesi e città, eccessive. E l’Italia è tra questi. Guardando infatti la mappa delle concentrazioni di inquinamento atmosferico in Europa, risulta essere una zona a bollino rosso. In particolare laPianura Padana, assediata soprattutto da polveri sottili e ossidi di azoto, che rimane tra le zone più inquinate del continente.
Per quanto riguarda il monossido di carbonio (che è un prodotto della combustione di organici, come carbone, olio e legno), le nove stazioni di misura che hanno superato il limite di legge, sono tutte nel Belpaese. Le situazioni più critiche per le polveri sottili e per l’ozono sono state registrate, oltre che in Italia, Bulgaria, Polonia,Slovacchia, Turchia, Repubblica Ceca, Romania. Mentre per gli ossidi di azoto e il benzopirene (contenuto nel catrame di carbone fossile), ai Paesi citati sopra, si aggiungono anche Austria,Germania, Francia e Regno Unito.
Nel dettaglio, per quanto riguarda l’Italia, l’inquinamento atmosferico è concentrato nelle zone urbane, prevalentemente nel nord. Ma tutta l’aria dello Stivale è seriamente inquinata con concentrazioni eccessive di ozono (anche se in diminuzione) e di biossido di azoto (la cui fonte principale rimangono i veicoli). In aumento poi da nord a sud del Paese – anche se in questo caso la situazione più critica è nei Paesi dell’est Europa – è il benzopirene, aumentato di oltre un quinto dal 2003 al 2012 e che proviene dall’uso urbano di stufe a legna e centrali a biomasse. Le fonti principali di inquinamento in Italia però rimango auto e industrie.
Tutto questo, sottolinea l’agenzia europea, ha un impatto notevole sulla salute dell’uomo. Le persone più esposte all’inquinamento atmosferico sono anche quelle che alzano le percentuali di malattie cardiovascolari e polmonari e quelle, quindi, con la più alta percentuale di morte prematura. I picchi di mortalità si hanno appunto in Italia, in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Romania, Polonia e Ungheria. Oltre alle preoccupazioni di natura sanitaria, poi, il rapporto solleva anche i problemi puramente ambientali legati all’inquinamento atmosferico, come l’eutrofizzazione, un processo che avviene quando una quantità eccessiva di azoto danneggia gli ecosistemi, mettendo a rischio la biodiversità. “Serve ridurre le emissioni nocive da industria, traffico, impianti energetici e agricoltura – si legge nella relazione – con l’obiettivo di ridurre il loro impatto sulla salute umana e ambiente”.

Immediate le reazioni al report delle associazioni ambientaliste. “I dati dell’EEA  sono l’ulteriore conferma di un’emergenza che colpisce il nostro Paese ormai da troppo tempo, con l’area della Pianura Padana, ancora una volta tra le più critiche d’Europa”.  (Fonte: Ambiente & Veleni)



domenica, novembre 30, 2014

INVASIONE ALIENA


Nelle acque del Mediterraneo c'è la più grande invasione in corso sulla Terra: quasi 1.000 specie aliene si sono "trasferite" da mari esotici per colpa delle attività umane. Lo dice una nuova analisi internazionale che ha utilizzato un nuovo sistema informativo messo a punto dalla Commissione Europea. Lo studio del Centro comune di ricerca dell'Ue (CCR) ha esaminato i dati di oltre 986 specie esotiche rintracciando la loro diffusione nel Mediterraneo attraverso la nuova piattaforma online (European Alien Species Information Network-EASIN). I risultati suscitano preoccupazione soprattutto considerando come il Mediterraneo sia la casa per oltre 17.000 specie di cui il 20% non si trova in nessun altro luogo. L'arrivo di specie aliene può causare gravi conseguenze alle reti alimentari e ai servizi ecosistemici autoctoni, portando malattie e provocando perfino mutazioni genetiche. 
"Utilizzando le informazioni dal Easin, potremmo mappare in dettaglio come mai finora quanto ciascuna specie aliena si è già diffusa - spiega Stelios Katsanevakis ricercatore del CCR - Abbiamo scoperto che la composizione delle comunità marine, che in passato è stata modellata esclusivamente dal clima, dall'ambiente e dalle barriere oceanografiche, ora dipende notevolmente dalle attività umane. In molte aree, il trasporto, l'acquacoltura e l'apertura di canali di navigazione stanno diventando i principali fattori di distribuzione delle specie". A conferma di ciò, lo studio ha scoperto che sono circa 60 le specie, soprattutto alghe, introdotte accidentalmente attraverso l'acquacoltura al largo della costa di Venezia e della Francia sudoccidentale e oltre 400 le specie di pesci ed invertebrati alieni arrivati nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Anche il riscaldamento globale sembra avere fatto la sua parte: le acque di Turchia, Siria, Libano, Israele, Gaza, Cipro ed Egitto sono diventate notevolmente più calde negli ultimi 20 anni risultando adatte per la sopravvivenza delle specie provenienti da Mar Rosso, Mar Arabico e Oceano Indiano. In questa regione lo studio ha scoperto come attualmente oltre il 40% della fauna marina sia di origine aliena (Fonte: Ambiente & Energia)



venerdì, novembre 14, 2014

DIVIETO DI CATTURARE CETACEI
SVOLTA STORICA in sede Onu per i cetacei: durante il meeting della Convenzione sulle specie migratorie (Cms) prevista dal trattato internazionale dell'Unep (United Nations Environment Program), svoltosi dal 4 al 9 novembre a Quito (Ecuador), "è stato sancito il divieto di catturare i cetacei a scopi commerciali e di utilizzarli in delfinari e oceanari che, come tutte le inaccettabili strutture di cattività, sono inadatti alle esigenze della specie".
Lo afferma l'Ente nazionale protezione animali (Enpa) spiegando che "la risoluzione presa in sede Onu è di cruciale importanza ai fini del divieto di cattura e utilizzo dei cetacei per la cattività. Il provvedimento della Cms prevede che i 120 Paesi membri modifichino la loro legislazione interna per vietare le catture in natura e blocchino le importazioni dei cetacei per gli spettacoli nei delfinari. E che anche la Cites e l'Iwc (Commissione Internazionale Baleniera) prendano atto dei contenuti della risoluzione e si impegnino affinché le indicazioni contenute nella stessa siano applicate".
La risoluzione della Cms "rappresenta una svolta, anche perché, in tale circostanza, a prendere posizione contro la cattività è lo stesso mondo scientifico - spiega il direttore scientifico dell'Enpa, Ilaria Ferri - Una svolta resa possibile anche grazie all'impegno di Enpa e del comitato italiano nella Cms che hanno sollevato, oltre a motivazioni etiche, le questioni di natura etologica e conservazione delle specie. Ed è proprio sulla scia di tali argomentazioni che la Cms ha adottato una risoluzione storica, che dovrà
 ora essere ratificata dai 120 Paesi che l'hanno sottoscritta. Ecco perché l'Enpa chiede oggi al Governo italiano di recepire immediatamente la risoluzione della Cms nel nostro ordinamento giuridico e di vietare per sempre le importazioni dei cetacei destinati alla cattività". (Fonte Espresso)



giovedì, novembre 13, 2014

VIA IL PIOMBO, PERICOLOSO PER BIODIVERSITÀ E PERSONE
VIA il piombo, pericoloso per biodiversità e persone, dalle munizioni dei cacciatori.  Al bando il Diclofenac a uso veterinario che minaccia i grandi rapaci.  Storici altolà alle mega industrie di farmaco e armi emessi dalla COP11, l'undicesima Conferenza delle Parti  della Convenzione per le Specie Migratrici che si è appena conclusa a Quito, in Ecuador. Altrimenti detta CMS o Convenzione di Bonn, fu adottata nell'omonima città nel 1979 ed entrò in vigore nel 1983: trattato intergovernativo siglato sotto l'egida dell'Onu, si pone obiettivi di conservazione e salvaguardia delle specie migratrici, acquatiche e terrestri (in particolare quelle a rischio estinzione), nonché dei rispettivi habitat in tutto il Pianeta, attraverso risoluzioni, accordi specifici, restrizioni, divieti. Vi aderiscono 115 paesi oltre all'Unione Europea, impegnati a recepire i suoi pronunciamenti. L'Italia ha ratificato la CMS con la legge n.42 del 25 agosto 1983.
"E' un risultato straordinario, frutto dell'impegno dell'intera comunità ambientalista internazionale. Noi l'abbiamo sostenuto con lettere, pressioni, documenti, rivolti tanto alle autorità italiane quanto alla Commissione europea. Ne trarranno giovamento gli uccelli migratori, la natura e agli esseri umani. Ringraziamo anche l'Ispra e il nostro Ministero dell'Ambiente", commenta Fulvio Mamone Capria, presidente della Lipu-Birdlife Italia. Sull'avvelenamento da piombo, già abolito da giocattoli, vernici, carburante, studi recenti hanno insistito, incoraggiando una risoluzione che imporrà radicali cambiamenti all'industria venatoria. Entro il 2017 infatti tutte le munizioni dovranno essere  sostituite con leghe non tossiche. "Studi scientifici condotti in molti paesi e, in Italia, dall'Ispra, hanno evidenziato come il problema si estenda ben oltre gli ambienti acquatici contaminati come stagni, fiumi e paludi, generando una filiera vasta e letale", spiega Claudio Celada, direttore Conservazione Natura della Lipu. "Nel complessivo avvelenamento dell'ambiente si contaminano, fra gli altri, i predatori degli animali colpiti - vedi quelli che ingeriscono le viscere degli ungulati lasciate al suolo dai cacciatori - arrivando fino all'uomo".
Il piombo è presente nella quasi totalità delle munizioni venatorie: "Abbiamo partecipato in rappresentanza dell'industria ai lavori del COP11 di Quito, evidenziando formalmente che le proposte e le risoluzioni in discussione sono state raggiunte senza il preventivo coinvolgimento del settore, né tenendo conto di alcune importanti considerazioni tecniche", ribattono dall'Anpam-
Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili. "Neppure si è effettuata una valutazione dell'impatto che la decisione di vietare il piombo nelle munizioni sportive e civili avrà a livello economico e occupazionale. Stupisce poi che la Cms e rappresentanti governativi ambientali UE non abbiano tenuto in alcuna considerazione il percorso di valutazione sull'impatto del piombo delle munizioni da caccia da tempo intrapreso con il supporto scientifico dell'Echa-European Chemichals Agency (ECA), da cui non sono giunte richieste di limitazione. L'impegno dell'ANPAM si è quindi limitato ad alleggerire i vincoli delle linee guida, ottenute con un pronunciamento finale che dà mandato agli stati membri di implementare le risoluzioni di Quito in funzione di specifici studi. Nei prossimi tre anni, con la possibilità di partecipare finalmente in modo attivo alla discussione, cercheremo di far emergere le considerazioni tecniche e scientifiche finora inascoltate".
Ambientalisti e animalisti esultano anche per il secondo provvedimento relativo al Diclofenac, farmaco antinfiammatorio per l'uomo (il Voltaren, ad esempio, è a base di Diclofenac) utilizzato pure in veterinaria per gli animali di allevamento destinati alla carne. Il secondo impiego è stato già vietato dal Governo dell'India, dove ha condotto sull'orlo dell'estinzione due specie di avvoltoi. Cibandosi dei corpi di cadaveri animali trattati con Diclofenac, questi uccelli muoiono in poche settimane di gotta viscerale, un'insufficienza renale che disintegra gli organi interni. Confermando ulteriormente come ogni specie sia di modello solo per sé, il dato suggerisce tra l'altro nuovi interrogativi sull'attendibilità della sperimentazione animale.
 
Malgrado il precedente e fra le proteste, tuttavia, un anno fa la Sanco (Direzione generale Sanità) della Commissione europea rilasciava i permessi affinché il farmaco a uso veterinario fosse consentito  Italia e Spagna, luoghi fondamentali per la preservazione degli avvoltoi nel nostro Continente.  "La Conferenza ha evidenziato l'estremo rischio costituito dal Diclofenac per questi  fragilissimi rapaci e, forse, altri. E' stata dunque sancita la necessità del suo bando, invitando a sostituirlo con alternative, quali il Meloxicam, che appaiono sicure, benché s'impongano adeguate verifiche", dice Mamone Capria: "Ora l'Italia recepisca senza esitazione le risoluzioni di Quito, a beneficio di ogni essere vivente. Per parte nostra lavoreremo assieme a BirdLiIfe International affinché questo avvenga nei termini più rapidi e completi". (Fonte l’espresso)



mercoledì, novembre 12, 2014

SBLOCCA ITALIA: IL PEGGIO DEL PEGGIO

ELETTROSMOG E SBLOCCA ITALIA

Elettrosmog e Sblocca Italia, subito rinominata ‘Sblocca Antenne’All’art. 6 “Agevolazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga si insinua una mimetizzata deregulation per l’avanzata delle prossime infrastrutture a supporto della connettività permanente via cellulare: il trucco della legge Renzi sta nell’assenza di autorizzazioni per le multinazionali delle telecomunicazioni assegnatarie delle frequenze bandite dall’ultimo governo Berlusconi, che con l’escamotage dell’autocertificazione per manutenzione/modifica degli impianti già esistenti (le antenne spuntate come funghi sui palazzi!) potrebbero installarne indiscriminatamente di più forti e potenti, senza chiedere niente a nessuno.
E’ al varco l’irradiamento della frontiera della rete 4G (Quarta Generazione, Long Term Evolution, LTE): prevede l’innalzamento di quantità e velocità di trasmissione dati fino a 42M/bit al secondo (contro i 3 M/bit attuali, tecnologia 3G) per migliorare performance di onde Wi-Fi e prestazioni di smartphone, tablet&C. con l’inevitabile rischio di sforare i limiti soglia da inquinamento elettromagnetico. Che vuol dire? Che per ‘infondere’ la 4G dovranno rifare ex novo i ripetitori, perché quelli attuali sostengono un’altra tecnologia! E come li rifaranno? Senza autorizzazioni, grazie allo Sblocca Italia! E col pericolo di ulteriore elettrosmog!
Lo stratagemma, bypassando nulla osta paesaggistici sull’impatto ambientale, incoraggerebbe una prevedibile semina di antenne selvagge nuove di zecca, sempre più insidiose per la salute pubblica, visto l’esponenziale incremento di popolazione elettrosensibile e i casi di ripetitori fuori norma, non tutti monitorati delle ARPA regionali (6 V/metro il massimo nei centri abitati, spalmati nella rilevazione di 24 ore grazie alla furbizia dell’abbattimento dei picchi diurni nella notte – regalino alle TLC del Governo Monti – nonostante lo 0,6 V/metro da esposizione esterna cumulativa sia invece il limite per effetti biologici sull’uomo sostenuto nel Report 2012 dagli scienziati indipendenti del BioInitiative Group).
Argini in costruzione invece a Roma. Dopo 20 anni di attesa e l’insabbiamento di una proposta di iniziativa popolare supportata da 23.000 firme di cittadini, vagliati i pareri dei municipi, è prossimo al voto di Commissioni (Urbanistica e Ambiente) e Aula in Campidoglio il ‘Regolamento di Roma Capitale’ per disciplinare la giungla imperversante di antenne e ripetitori da inquinamento elettromagnetico. “Siamo cautelativamente ottimisti – la sintesi di Giuseppe Teodoro, portavoce del Coordinamento Comitati Romani contro l’Elettrosmog, intevenuto ieri ai microfoni de Il Nemico Invisibile, trasmissione radiofonica condotta dal giornalista Alessio Ramaccioni (coautore del libro inchiesta Onde Anomale – Editore Internazionale Riuniti)  – Vigileremo affinché il testo non sia aggredibile dai ricorsi delle compagnie telefoniche. Vorremmo un Regolamento dalle 3P: Pianificazione, Precauzione e Partecipazione popolare. Serve un catasto per Roma per mappare gli impianti in città, un registro per le indagini epidemiologiche che quantifichi le malattie ambientali e gli ammalati, oltre sanzioni certe per le antenne oltre i valori soglia”. Cioè fuori legge. Ovvero coniugare libertà di comunicazione, diffusione di tecnologie e tutela della salute. Pare poco, ma sarebbe il giusto.
Infine dal Centro di Riferimento della Regione Lazio per la diagnosi della Sensibilità Chimica Multipla (MCS è malattia ‘gemella’ dell’Elettrosensibilità) in questi giorni è stato rimosso il Prof. Giuseppe Genovesi, responsabile della struttura nello Sportello delle Malattie Rare al Policinico Umberto I di Roma, punto di riferimento per i malati di tutta Italia: per motivazioni molto vaghe”, sostiene lui stesso sulla pagina Facebook.
Strana coincidenza: l’incarico viene sollevato a Genovesi subito dopo l’intervista andata in onda la scorsa settimana su Italia 1, nel servizio L’inquinamento che uccide!.
Informare l’opinione pubblica della pericolosità delle malattie ambientali fa più male… del male? (Fonte Il Fatto Quotidiano)