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martedì, luglio 14, 2020
lunedì, luglio 13, 2020
venerdì, ottobre 12, 2018
martedì, marzo 08, 2016
martedì, febbraio 02, 2016
Inchiesta/Ecco come ci stanno avvelenando, viaggio
all’interno del depuratore del Liscione tra condizioni igieniche scadenti e
personale inadeguato
MICHELE
MIGNOGNA
Condizioni
igieniche del tutto scadenti, personale senza nessuna specializzazione alla
manipolazione delle sostanze chimiche, montagne di soldi pubblici buttati al
vento in appalti e servizi del tutto inesistenti,
ecco in che condizioni versa il depuratore della Diga del Liscione, l’invaso
dal quale i comuni del basso Molise, oltre 110.000 abitanti, prelevano acqua
che i buontemponi di Molise Acque definiscono potabile.
Il
nostro viaggio raccapricciante è stato fatto non molto tempo fa proprio
all’interno dell’impianto di depurazione delle acque della diga del Liscione a
valle dell’invaso, e la prima cosa che si nota è la
sciatteria e le condizioni igieniche in cui versa, materiale gettato alla
rinfusa dove capita, bidoni con il cloro alla mercè di tutti, impianto
elettrico talmente precario che non si riesce a capire come possa ancora
funzionare.Il personale in servizio in questo impianto inoltre, non ha nessuna
qualifica, dico nessuna, per poter manipolare le sostanze chimiche utilizzate nel processo di
potabilizzazione, si fa come dire, a naso, o se preferite a orecchio. Nelle
foto è possibile anche vedere che i bidoni che contengono il cloro e il
biossido hanno un tubicino che va direttamente nelle vasche, chi fa i dosaggi?
Chi controlla che le quantità siano giuste? Soprattutto chi garantisce che la
depurazione viene fatta rispettando i parametri sanitari? E poi ruggine ovunque, scale
arrugginite che arrivano fin dentro le vasche che contengono l’acqua che
utilizziamo in basso Molise, pareti scrostate, vasche di decantazione piene di fango
molto strano sia nell’odore sia nella consistenza e pensare che non molto tempo fa
l’ente ha investito un bel po’ di soldini proprio per la ristrutturazione
dell’impianto, ma se le condizioni oggi sono queste, non oso nemmeno pensare a
come potevano essere prima dei lavori. La cosa che più di tutte deve farci riflettere
è che il personale che dosa ogni giorno il cloro nelle vasche non ha nessuna
specializzazione, infatti, a Molise Acque non risulta in
organico né un chimico, tanto meno un biologo, per ovviare a
queste mancanze da alcuni anni Molise Acque ha dato in appalto i
“servizi chimici” alla Ecogreen di Campobasso, solo che Molise Acque deve fornirle
sedi, materiali, mentre la Ecogreen fornisce solo le analisi, ma non quelle più
complesse, per intenderci, se Molise Acque utilizzasse il laboratorio del COSIB,
risparmierebbe e avrebbe analisi migliori, ma soprattutto avrebbe tutte le
tipologie di analisi.
Il
personale utilizzato per trattare chimicamente l’acqua è quasi tutto personale
interinale, che lavora senza sistemi di protezione
e senza formazione, insomma vengono buttati nell’arena e fanno
quel che possono, il tutto sotto gli occhi di tutti. In
questo modo si sta procedendo al sistematico avvelenamento di migliaia di
cittadini in tutto il basso Molise, tutti sanno nessuno
interviene a partire dagli enti preposti al controllo, ASREM, NAS e ARPA.
domenica, gennaio 17, 2016
domenica, gennaio 10, 2016
domenica, settembre 27, 2015
CONDIVISIONE
Carissimi,
secondo
i dati dell’ultimo quaderno Svimez, il Mezzogiorno sta rischiando il
sottosviluppo permanente. E il nostro Molise – che a fine anni ’90 si stava
allineando ai parametri del Centro Italia – negli ultimi dieci anni è stato
risucchiato dalla stagnazione meridionale, nonostante ricevesse fondi
aggiuntivi per la ricostruzione post- sisma e per l’articolo 15.
TALE DISASTRO NON NASCE DAL CASO
Ed è
per questo che vogliamo denunciare pubblicamente gli errori e le insufficienze
della classe dirigente della nostra regione. Intendiamo farlo con precisi
riferimenti a responsabilità e a fatti che sono sotto gli occhi di tutti, a
partire dal diffuso malgoverno e dall’uso privato della politica e delle
istituzioni.
NON POSSIAMO E NON VOGLIAMO TACERE
Sentiamo,
al contrario, il dovere di fare una proposta che aiuti ad evitare il baratro e
che abbia al centro un nuovo e democratico sviluppo del territorio. Ecco alcuni
temi che vogliamo proporre all’attenzione di quanti hanno l’obbligo di mettere
in campo una precisa strategia di rilancio del Molise: la valorizzazione della
cultura, della formazione e della ricerca; un uso radicalmente diverso dei
fondi strutturali; una gestione efficace e trasparente delle risorse destinate
all’area di crisi; una fiscalità di vantaggio per le attività produttive
innovative e sostenibili; il sostegno alla clean economy; il potenziamento dei
servizi e delle infrastrutture.
C’E’ BISOGNO DI UNA FORTE INIZIATIVA DEMOCRATICA PER FAR RIPARTIRE IL
MOLISE, INSIEME AL RESTO DEL MEZZOGIORNO
La Fonte vi invita a costruire insieme le
alternative da esporre, nel corso di una tavola rotonda- conferenza stampa che
si terrà a Termoli sabato 3 ottobre. Vi preghiamo di fornirci, entro martedì’ 29,
la vostra eventuale disponibilità ad essere tra i promotori dell’iniziativa.
Seguiranno aggiornamenti su luogo, ora e programma.
Grazie
e a presto
lunedì, dicembre 08, 2014
Orso bruno avvistato vicino centrale Cernobyl
Da cento anni non si
vedeva questa specie nella regione
Un orso bruno è stato fotografato vicino alla
centrale nucleare di Cernobyl dalle fotocamere sistemate nell'ambito di
programmi per il controllo della radioattività. Non si segnalava una simile
presenza nella zona da un secolo e ciò - nota il quotidiano britannico Daily
Mail che pubblica le foto - suggerisce una curiosa relazione tra diastri
atomici e vita degli animali selvatici. Dopo l'incidente del 1986 è stata
creata una "zona di esclusione" dal raggio di 30 chilometri e in cui
fino a quel momento abitavano oltre 100mila persone. E' così stata
involontariamente istituita una sorta di riserva naturale, dove gli animali
possono vivere senza subire pressioni da parte dell'uomo. Non è la prima volta
che in quest'area - definita dal giornale un paradiso naturale - vengono visti
grandi mammiferi. Le fotocamere automatiche avevano già inquadrato cavalli,
linci, lupi grigi, cinghiali. Ma è la prima volta che viene visto l'esemplare
di una specie animale che era assente dalla zona da più di un secolo. La
fusione nucleare che avvenne a Cernobyl nell'aprile 1986 ha provocato una
grande dispersione di radioattività che dall'Ucraina si è sparsa in molti
territori europei, Si calcola che la bonifica, ancora in corso, sia costata 18
miliardi di dollari.
domenica, dicembre 07, 2014
TROPPE
DISCARICHE DI RIFIUTI IN ITALIA, SARANNO PIENE TRA DUE ANNI
ROMA - Con la nuova direttiva, l'Europa si prepara ad abbattere le
quantità di rifiuti in discarica e ad aprire le porte a 870 mila nuovi assunti
per rilanciare il settore. Ma l'Italia rischia di arrivare in ritardo
all'appuntamento, appesantita da una lunga stagione di arretratezza gestionale
che ha saturato gli spazi a disposizione: tra due anni le discariche esistenti
saranno stracolme. Dove finiranno i 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani
prodotti ogni anno?
L'allarme viene dal primo WAS Annual Report, il rapporto sulla gestione dei rifiuti preparato dalla società di ricerche Althesys: "Il mix italiano rimane ancora troppo sbilanciato sulle discariche che in alcune aree del Paese sono la destinazione finale di oltre il 70 per cento dei rifiuti urbani prodotti. In questo quadro generale, le situazioni più critiche si registrano in Sicilia, Calabria, Lazio, Puglia e Liguria. Con i ritmi attuali di smaltimento, le discariche italiane si esauriranno entro i prossimi due anni".
Dunque non c'è solo il dramma della Terra dei fuochi e l'insidiosa mancanza di alternative che si è creata a Roma dopo l'annunciata chiusura di Malagrotta. Il ritardo è più generalizzato e riguarda il 42,3 per cento di rifiuti che continua a prendere la strada della discarica: una percentuale alta in modo anomalo che sbilancia l'intero sistema scoraggiando gli investimenti sulle filiere più avanzate. Ad esempio sul recupero dei materiali che provengono dalla raccolta differenziata, in particolare dall'umido che ormai viaggia a livelli soddisfacenti in molte aree del Paese, compresa la Campania (con l'eccezione di Napoli).
L'allarme viene dal primo WAS Annual Report, il rapporto sulla gestione dei rifiuti preparato dalla società di ricerche Althesys: "Il mix italiano rimane ancora troppo sbilanciato sulle discariche che in alcune aree del Paese sono la destinazione finale di oltre il 70 per cento dei rifiuti urbani prodotti. In questo quadro generale, le situazioni più critiche si registrano in Sicilia, Calabria, Lazio, Puglia e Liguria. Con i ritmi attuali di smaltimento, le discariche italiane si esauriranno entro i prossimi due anni".
Dunque non c'è solo il dramma della Terra dei fuochi e l'insidiosa mancanza di alternative che si è creata a Roma dopo l'annunciata chiusura di Malagrotta. Il ritardo è più generalizzato e riguarda il 42,3 per cento di rifiuti che continua a prendere la strada della discarica: una percentuale alta in modo anomalo che sbilancia l'intero sistema scoraggiando gli investimenti sulle filiere più avanzate. Ad esempio sul recupero dei materiali che provengono dalla raccolta differenziata, in particolare dall'umido che ormai viaggia a livelli soddisfacenti in molte aree del Paese, compresa la Campania (con l'eccezione di Napoli).
Secondo il Was, l'Italia è in deficit sia sul piano della
capacità di incenerimento che - soprattutto - sul
riciclo: "La revisione delle principali direttive Ue che regolano il
settore fisserà obiettivi al 2030 molto sfidanti, come l'aumento del riciclo al
70 per cento e la sostanziale eliminazione delle discariche. Per arrivare a
questo traguardo bisogna puntare sull'industrializzazione e sul consolidamento
del settore, che ad oggi continua ad essere molto frammentato". Tra l'altro
sono proprio le regioni meno dotate di discariche a norma quelle con i livelli
di raccolta differenziata più bassi: ennesima dimostrazione di un ritardo nella
gestione che abbraccia tutte le filiere.
"L'Europa si prepara a fare un altro salto: perdere questa opportunità vorrebbe dire rinunciare a decine di migliaia di posti di lavoro e rendere meno competitivo l'intero sistema produttivo nazionale", spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys. "Mentre mettersi in linea con Bruxelles significa ottenere vantaggi consistenti in termini di occupati, fatturato, emissioni serra evitate, diminuzione dell'impatto ambientale del ciclo dei rifiuti. La posta in gioco è un pacchetto di vantaggi al 2030 che per l'Italia vale 15 miliardi di euro".
"L'Europa si prepara a fare un altro salto: perdere questa opportunità vorrebbe dire rinunciare a decine di migliaia di posti di lavoro e rendere meno competitivo l'intero sistema produttivo nazionale", spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys. "Mentre mettersi in linea con Bruxelles significa ottenere vantaggi consistenti in termini di occupati, fatturato, emissioni serra evitate, diminuzione dell'impatto ambientale del ciclo dei rifiuti. La posta in gioco è un pacchetto di vantaggi al 2030 che per l'Italia vale 15 miliardi di euro".
giovedì, dicembre 04, 2014
italia condannata
ITALIA CONDANNATA: MULTA DA 42 MILIONI
DI EURO OGNI 6 MESI
BRUXELLES - L'Italia non ha rispettato la sentenza della
Corte di giustizia dell'Unione europea del 2007 che ha constatato
l'inadempimento alle direttive sui rifiuti. Per questo il nostro Paese è stato
condannato a pesanti sanzioni pecunarie che prevedono il versamento di 40
milioni ogni sei mesi fino all'esecuzione della sentenza.
Galletti: "Non pagheremo un euro".
"La sentenza della Corte di giustizia Europea sanziona una situazione che
risale a sette anni fa. In questo tempo l'Italia si è sostanzialmente messa in
regola", spiega il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti. "Siamo
passati - spiega il ministro - da 4.866 discariche abusive contestate a 218
nell'aprile 2013. Una cifra che a oggi si è ulteriormente ridotta a 45
discariche. Con la legge di Stabilità 2014 sono stati stanziati 60 milioni di
euro per un programma straordinario che consentirà di bonificare 30 delle 45
discariche rimaste, anche attraverso gli accordi di programma sottoscritti in
questi giorni con le regioni Abruzzo, Veneto, Puglia e Sicilia. Le restanti 15
discariche abusive saranno bonificate con un ulteriore impegno di 60 milioni di
euro". Galletti ha assicurato che "andremo in Europa con la forza
delle cose fatte, lavorando in stretta collaborazione con le istituzioni Ue,
per non pagare nemmeno un euro di quella multa figlia di un vecchio e
pericoloso modo di gestire i rifiuti con cui vogliamo una volta per tutte
chiudere i conti".
Le sentenze. Con una prima sentenza, nel 2007, la Corte ha
dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli
obblighi stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e
alle discariche di rifiuti. Nel 2013, la Commissione ha ritenuto che l'Italia
non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla
sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche situate in 18 delle 20
regioni italiane non erano conformi alla direttiva "rifiuti";
inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione
della direttiva "rifiuti pericolosi"; infine, l'Italia non aveva
dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai
sensi della direttiva "discariche di rifiuti". La Corte ricorda
innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti
con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti
dalla direttiva "rifiuti". Pertanto, i provvedimenti di
chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per
conformarsi alla direttiva. L'Italia non si è assicurata che il regime di
autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato.
Le sanzioni. La Corte trae la conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi. Di conseguenza, la Corte condanna l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni. La Corte rileva poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte condanna quindi l'Italia a versare una penalità semestrale a partire da oggi e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200mila euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre.
Multa record. La maximulta forfettaria di 40 milioni di euro, spiega un documento della corte Ue, è la sanzione pecuniaria più pesante mai inflitta dalla Corte europea da quando i Trattati le danno il diritto di imporre multe agli stati, e cioè dal 1992. Fino a oggi la multa forfettaria più eleveta era stata inflitta dalla Corte sempre all'Italia nel 2011 per aiuti di Stato illegali nella forma di sgravi fiscali per contratti di formazione lavoro. In quel caso la multa forfettaria era stata di 30 milioni e ha rappresentato il record fino ad ora. In totale la Corte ha inflitto finora una decina di multe, due delle quali all'Italia. Le altre hanno colpito Francia, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. La Grecia è il paese che ne ha ricevute di più. (Fonte l’Espresso)
Le sanzioni. La Corte trae la conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi. Di conseguenza, la Corte condanna l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni. La Corte rileva poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte condanna quindi l'Italia a versare una penalità semestrale a partire da oggi e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200mila euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre.
Multa record. La maximulta forfettaria di 40 milioni di euro, spiega un documento della corte Ue, è la sanzione pecuniaria più pesante mai inflitta dalla Corte europea da quando i Trattati le danno il diritto di imporre multe agli stati, e cioè dal 1992. Fino a oggi la multa forfettaria più eleveta era stata inflitta dalla Corte sempre all'Italia nel 2011 per aiuti di Stato illegali nella forma di sgravi fiscali per contratti di formazione lavoro. In quel caso la multa forfettaria era stata di 30 milioni e ha rappresentato il record fino ad ora. In totale la Corte ha inflitto finora una decina di multe, due delle quali all'Italia. Le altre hanno colpito Francia, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. La Grecia è il paese che ne ha ricevute di più. (Fonte l’Espresso)
mercoledì, dicembre 03, 2014
ELETTROSMOG
AMBIENTE &
VELENI
Sblocca
Italia e elettrosmog: antenna selvaggia, i rischi legalizzati
Elettrosmog e Sblocca Italia, subito rinominata ‘Sblocca Antenne’. All’art. 6 “Agevolazioni per la
realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga” si
insinua una mimetizzata deregulation per
l’avanzata delle prossime infrastrutture a supporto della connettività
permanente via cellulare: il trucco della legge Renzi sta nell’assenza di
autorizzazioni per le multinazionali delle telecomunicazioni assegnatarie delle
frequenze bandite dall’ultimo governo Berlusconi, che con l’escamotage
dell’autocertificazione per manutenzione/modifica degli impianti già esistenti (le
antenne spuntate come funghi sui palazzi!) potrebbero installarne
indiscriminatamente di più forti e
potenti, senza chiedere niente a nessuno.
E’ al varco l’irradiamento della frontiera della rete
4G (Quarta
Generazione, Long Term Evolution, LTE): prevede l’innalzamento di
quantità e velocità di trasmissione dati fino a 42M/bit al secondo (contro i 3
M/bit attuali, tecnologia 3G) per migliorare performance di onde Wi-Fi e prestazioni di smartphone,
tablet&C. con l’inevitabile rischio di sforare i limiti soglia da inquinamento
elettromagnetico. Che vuol dire? Che per ‘infondere’ la 4G dovranno
rifare ex novo i ripetitori, perché quelli attuali sostengono un’altra
tecnologia! E come li rifaranno? Senza autorizzazioni, grazie allo Sblocca
Italia! E col pericolo di ulteriore elettrosmog!
Lo stratagemma, bypassando nulla osta paesaggistici sull’impatto
ambientale, incoraggerebbe una prevedibile semina di antenne selvagge nuove di zecca, sempre più insidiose
per la salute pubblica, visto l’esponenziale incremento di popolazione
elettrosensibile e i casi di ripetitori fuori norma, non tutti monitorati delle
ARPA regionali (6 V/metro il massimo nei centri abitati, spalmati nella
rilevazione di 24 ore grazie alla furbizia dell’abbattimento dei picchi diurni
nella notte – regalino alle TLC del Governo Monti – nonostante lo 0,6 V/metro
da esposizione esterna cumulativa sia invece il limite per effetti biologici
sull’uomo sostenuto nel Report 2012 dagli scienziati indipendenti del Bio Initiative Group).
Argini in costruzione invece a Roma. Dopo 20 anni di
attesa e l’insabbiamento di una prpposta di iniziativa popolare supportata da
23.000 firme di cittadini, vagliati i pareri dei municipi, è prossimo al voto di Commissioni
(Urbanistica e Ambiente) e Aula in Campidoglio il ‘Regolamento di Roma Capitale’ per disciplinare la giungla imperversante
di antenne e ripetitori da inquinamento elettromagnetico. “Siamo cautelativamente ottimisti –
la sintesi di Giuseppe Teodoro, portavoce del Coordinamento Comitati Romani
contro l’Elettrosmog, intevenuto ieri ai microfoni de Il Nemico Invisibile, trasmissione
radiofonica condotta dal giornalista Alessio Ramaccioni (coautore del libro
inchiesta Onde Anomale – Editore Internazionale Riuniti)
– Vigileremo affinché il
testo non sia aggredibile dai ricorsi delle compagnie telefoniche. Vorremmo un
Regolamento dalle 3P:Pianificazione,
Precauzione e Partecipazione popolare. Serve un catasto per Roma per
mappare gli impianti in città, un registro per le indagini epidemiologiche che
quantifichi le malattie ambientali e gli ammalati, oltre sanzioni certe per le
antenne oltre i valori soglia”. Cioè fuori legge. Ovvero coniugare
libertà di comunicazione, diffusione di tecnologie e tutela della salute. Pare poco, ma sarebbe il giusto.
Infine dal Centro di Riferimento della Regione Lazio
per la diagnosi della Sensibilità Chimica Multipla (MCS è malattia ‘gemella’ dell’Elettrosensibilità)
in questi giorni è stato rimosso il Prof. Giuseppe Genovesi, responsabile della
struttura nello Sportello delle Malattie Rare al Policinico Umberto I di Roma,
punto di riferimento per i malati di tutta Italia: “per motivazioni molto vaghe”,
sostiene lui stesso sulla pagina Facebook. Strana coincidenza:
l’incarico viene sollevato a Genovesi subito dopo l’intervista andata in onda
la scorsa settimana su Italia 1, nel servizio “L’inquinamento che uccide!”. Informare l’opinione
pubblica della pericolosità delle malattie ambientali fa più male… del male? (Fonte:il
fatto quotidiano)
martedì, dicembre 02, 2014
TUMORI
INQUINAMENTO AMBIENTALE E TUMORI:
CI SONO POSTI IN CUI SI MUORE IN SILENZIO
i sono posti in cui ci si ammala e si muore in
silenzio. Nel silenzio dei vivi. Specie di quelli che contano. Anche
quando questo accade in maniera seriale. Anche quando le cause di quelle malattie e di quelle morti, con
elevata probabilità logica, stanno nell’ambiente di
quegli stessi posti; nella loro aria, nella loro acqua, nella loro terra, nei
loro luoghi di vita e di lavoro. Brindisi è uno di quei posti. Le ragioni
di quel silenzio possono essere varie.
Per esempio, la
vicinanza “oscurante” con altri luoghi certamente ancora più martoriati
nell’ambiente e nella salute pubblica, nei quali ultimi, però, vi sia anche
un’altra, migliore, situazione socio-ambientale: una magistratura requirente
più reattiva; un sistema dei mezzi d’informazione, locali e nazionali, più
vigile; una cittadinanza, nel suo complesso, appena meno catatonica sotto il
profilo civile. Uno di questi ultimi posti è Taranto. Nell’immaginario
collettivo nazionale (e ormai internazionale), l’emergenza ambientale e
sanitaria in Puglia è Taranto. E’ certamente vero.
A Taranto i numeri, tragici, della malattia e della morte, causata da
alcuni uomini all’ambiente e ad altri uomini di quella città, sono ormai incisi
in atti processuali,
oltreché nella carne viva di chi ci vive.
A Brindisi si registra un costante
eccesso di mortalità maschile, dagli anni ’80 fino all’ultimo dato del 2009;
una prevalenza di Broncopatia Cronica Ostruttiva nelle donne del capoluogo; una
maggiore incidenza e mortalità per alcuni tumori in prossimità dell’area
industriale; un aumento complessivo del tasso di incidenza per tutti i tumori
dal 1999 al 2006; una maggior incidenza di malformazioni neonataliin
corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa (un
marcatore di emissioni energetiche); incrementi di ricoveri e decessi per malattie
cardio-respiratorie in
corrispondenza di innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni
macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall’area
industriale.
Questi sono dati sanitari acquisiti grazie a studi scientifici e
a scienziati affidabili, anche perché indipendenti. Ma restano
solo una fredda
rilevazione scientifica, priva di ogni conseguenza
“legale”. Anche quando questi dati parlano, urlano di patologie, di
decessi di origine ambientale. Malati e morti a cui, quindi, si dovrebbe
rendere almeno giustizia, se non si è stati capaci di evitarli.
Ma a Brindisi è storicamente più
difficile avere giustizia, specie per chi si ammala e muore “di ambiente”,
specie di ambiente di lavoro. In tutta Italia, da Mantova a
Taranto ad Avellino, si esercita l’azione penale o addirittura si condanna per le morti
da mesotelioma.
E’ un tumore rarissimo e vuol dire esposizione all’amianto,
dunque, con elevata probabilità logica, significa violazione della normativa in
materia ambientale e, soprattutto, di sicurezza sul lavoro da parte di chi era
tenuto a osservarla.
A Brindisi, un
oncologo, il dott. Maurizio Portaluri, primario
del reparto di radioterapia dell’Ospedale Perrino, denuncia di aver refertato
all’Autorità Giudiziaria, dal 2001 al 2013, 5 mesoteliomi in lavoratori delle industrie brindisine, oltre a vari
altri tumori (tra cui l’altrettanto famigerato angiosarcoma) estremamente
indicativi di esposizioni professionali. Ad oggi non risultano processi
penali per questi fatti. Forse le indagini sono in corso.
Sono certamente
indagini complesse, richiedono tempo, specie per l’individuazione dei possibili responsabili delle azioni od omissioni penalmente
rilevanti. Ma il codice di procedura penale afferma ancora che, per questo tipo di
reati, le indagini preliminari durano “6 mesi dalla data in cui il nome della
persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie
di reato”, prorogabili per lo stesso termine “per non più di una volta”.
E quei referti,
a quanto dice l’oncologo, sono arrivati in Procura da anni. “Quando si muore,
si muore soli”, canta il poeta di via Del Campo. Quando si muore senza
giustizia è peggio, anche per chi resta. Perché rendere giustizia a chi è
morto in maniera “innaturale”, a tacer d’ogni altra considerazione, resta il
modo migliore per prevenire altre morti analoghe. (Fonte: Ambiente & Veleni)
lunedì, dicembre 01, 2014
INQUINAMENTO DA OZONO, ITALIA
MAGLIA NERA D’EUROPA:
3400 MORTI OGNI ANNO
Italia: terra di mare,
boschi e colline e aria inquinata. E’ il nostro il Paese in Europa con il più
alto numero di morti premature per inquinamento da ozono, con circa 3.400 vittime all’anno. Il secondo poi
per le polveri sottili,
con oltre 64mila morti, preceduta solo dalla Germania, terra di industria pesante, miniere di carbone,
acciaierie e industrie chimiche. A dirlo è l’ultimo rapporto Air Quality 2014 dell’Agenzia europea dell’ambiente
Di buone notizie non ce ne sono. Nonostante infatti la riduzione delle emissioni e delle concentrazioni di alcuni
inquinanti nell’aria negli ultimi decenni, il rapporto dimostra che l’inquinamento
atmosferico è ancora il principale nemico dell’ambiente, collegato a filo
diretto con la salute umana. Si parla di
milioni di persone con problemi respiratori o cardiaci, costretti ad alternarsi
tra il medico di base e il farmacista. E di 400mila
morti premature in Europa (dato 2011) per malattie al cuore, ai
polmoni o ictus. Questo perché, secondo
la relazione, quasi tutti gli abitanti delle città (circa il 95%) vive sotto un cielo inquinato,
anche, chiaramente, i bambini. Le percentuali di sostanze inquinanti superano,
infatti, nella maggior parte delle 400 città analizzate, i livelli ritenuti non sicuri
dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Stiamo parlando di polveri sottili, monossido di carbonio,
ossidi di azoto, ozono, metalli tossici, benzene e molto altro. Immessi nell’aria da
industrie, auto, rifiuti, agricoltura intensiva. Sono
sostanze estremamente pericolose per l’organismo umano ma tutte presenti nell’aria a
quantità, in alcune Paesi e città, eccessive. E l’Italia è tra
questi. Guardando infatti la mappa delle concentrazioni di inquinamento
atmosferico in Europa, risulta essere una zona a bollino rosso.
In particolare laPianura Padana,
assediata soprattutto da polveri sottili e ossidi di azoto, che rimane
tra le zone più inquinate del continente.
Per
quanto riguarda il monossido di carbonio (che è un prodotto della combustione
di organici, come carbone, olio e legno), le nove stazioni di misura che hanno
superato il limite di legge, sono tutte nel Belpaese. Le situazioni più
critiche per le polveri sottili e per l’ozono sono state registrate, oltre che
in Italia, Bulgaria, Polonia,Slovacchia, Turchia,
Repubblica Ceca, Romania. Mentre per gli
ossidi di azoto e il benzopirene (contenuto nel catrame di carbone
fossile), ai Paesi citati sopra, si aggiungono anche Austria,Germania, Francia e Regno Unito.
Nel dettaglio,
per quanto riguarda l’Italia,
l’inquinamento atmosferico è concentrato nelle zone urbane, prevalentemente nel
nord. Ma tutta l’aria dello Stivale è seriamente inquinata con
concentrazioni eccessive di ozono (anche se in diminuzione) e di biossido di azoto (la cui fonte principale rimangono i
veicoli). In aumento poi da nord a sud del Paese – anche se in questo caso la
situazione più critica è nei Paesi dell’est Europa – è il benzopirene, aumentato di oltre
un quinto dal 2003 al 2012 e che proviene dall’uso urbano di stufe a legna e centrali a biomasse.
Le fonti principali di inquinamento in Italia però rimango auto e industrie.
Tutto
questo, sottolinea l’agenzia europea, ha un impatto notevole sulla salute
dell’uomo. Le persone più esposte all’inquinamento atmosferico sono anche quelle che alzano le
percentuali di malattie cardiovascolari e polmonari e quelle, quindi, con la
più alta percentuale di morte prematura. I picchi di mortalità si hanno appunto
in Italia, in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Romania, Polonia e
Ungheria. Oltre alle preoccupazioni di natura sanitaria, poi, il rapporto
solleva anche i problemi puramente ambientali legati all’inquinamento
atmosferico, come l’eutrofizzazione,
un processo che avviene quando una quantità eccessiva di azoto danneggia gli ecosistemi,
mettendo a rischio la biodiversità. “Serve ridurre le emissioni nocive da
industria, traffico, impianti energetici e agricoltura – si legge nella
relazione – con l’obiettivo di ridurre il loro impatto sulla salute umana e
ambiente”.
Immediate
le reazioni al report delle associazioni ambientaliste.
“I dati dell’EEA sono
l’ulteriore conferma di un’emergenza che colpisce il nostro Paese ormai da
troppo tempo, con l’area della Pianura Padana, ancora una volta tra
le più critiche d’Europa”. (Fonte: Ambiente & Veleni)
domenica, novembre 30, 2014
INVASIONE ALIENA
Nelle acque del
Mediterraneo c'è la più grande invasione in corso sulla Terra: quasi 1.000
specie aliene si sono "trasferite" da mari esotici per colpa delle
attività umane. Lo dice una nuova analisi internazionale che ha utilizzato un
nuovo sistema informativo messo a punto dalla Commissione Europea. Lo studio
del Centro comune di ricerca dell'Ue (CCR) ha esaminato i dati di oltre 986
specie esotiche rintracciando la loro diffusione nel Mediterraneo attraverso la
nuova piattaforma online (European Alien Species Information Network-EASIN). I
risultati suscitano preoccupazione soprattutto considerando come il
Mediterraneo sia la casa per oltre 17.000 specie di cui il 20% non si trova in
nessun altro luogo. L'arrivo di specie aliene può causare gravi conseguenze
alle reti alimentari e ai servizi ecosistemici autoctoni, portando malattie e
provocando perfino mutazioni genetiche.
"Utilizzando le informazioni dal Easin, potremmo mappare in dettaglio come mai finora quanto ciascuna specie aliena si è già diffusa - spiega Stelios Katsanevakis ricercatore del CCR - Abbiamo scoperto che la composizione delle comunità marine, che in passato è stata modellata esclusivamente dal clima, dall'ambiente e dalle barriere oceanografiche, ora dipende notevolmente dalle attività umane. In molte aree, il trasporto, l'acquacoltura e l'apertura di canali di navigazione stanno diventando i principali fattori di distribuzione delle specie". A conferma di ciò, lo studio ha scoperto che sono circa 60 le specie, soprattutto alghe, introdotte accidentalmente attraverso l'acquacoltura al largo della costa di Venezia e della Francia sudoccidentale e oltre 400 le specie di pesci ed invertebrati alieni arrivati nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Anche il riscaldamento globale sembra avere fatto la sua parte: le acque di Turchia, Siria, Libano, Israele, Gaza, Cipro ed Egitto sono diventate notevolmente più calde negli ultimi 20 anni risultando adatte per la sopravvivenza delle specie provenienti da Mar Rosso, Mar Arabico e Oceano Indiano. In questa regione lo studio ha scoperto come attualmente oltre il 40% della fauna marina sia di origine aliena (Fonte: Ambiente & Energia)
"Utilizzando le informazioni dal Easin, potremmo mappare in dettaglio come mai finora quanto ciascuna specie aliena si è già diffusa - spiega Stelios Katsanevakis ricercatore del CCR - Abbiamo scoperto che la composizione delle comunità marine, che in passato è stata modellata esclusivamente dal clima, dall'ambiente e dalle barriere oceanografiche, ora dipende notevolmente dalle attività umane. In molte aree, il trasporto, l'acquacoltura e l'apertura di canali di navigazione stanno diventando i principali fattori di distribuzione delle specie". A conferma di ciò, lo studio ha scoperto che sono circa 60 le specie, soprattutto alghe, introdotte accidentalmente attraverso l'acquacoltura al largo della costa di Venezia e della Francia sudoccidentale e oltre 400 le specie di pesci ed invertebrati alieni arrivati nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Anche il riscaldamento globale sembra avere fatto la sua parte: le acque di Turchia, Siria, Libano, Israele, Gaza, Cipro ed Egitto sono diventate notevolmente più calde negli ultimi 20 anni risultando adatte per la sopravvivenza delle specie provenienti da Mar Rosso, Mar Arabico e Oceano Indiano. In questa regione lo studio ha scoperto come attualmente oltre il 40% della fauna marina sia di origine aliena (Fonte: Ambiente & Energia)
venerdì, novembre 14, 2014
DIVIETO DI CATTURARE CETACEI
SVOLTA STORICA in sede Onu per i cetacei: durante il
meeting della Convenzione sulle specie migratorie (Cms) prevista dal trattato
internazionale dell'Unep (United Nations Environment Program), svoltosi dal 4
al 9 novembre a Quito (Ecuador), "è stato sancito il divieto di catturare
i cetacei a scopi commerciali e di utilizzarli in delfinari e oceanari che,
come tutte le inaccettabili strutture di cattività, sono inadatti alle esigenze
della specie".
Lo afferma l'Ente nazionale protezione animali (Enpa)
spiegando che "la risoluzione presa in sede Onu è di cruciale importanza
ai fini del divieto di cattura e utilizzo dei cetacei per la cattività. Il
provvedimento della Cms prevede che i 120 Paesi membri modifichino la loro legislazione
interna per vietare le catture in natura e blocchino le importazioni dei
cetacei per gli spettacoli nei delfinari. E che anche la Cites e l'Iwc
(Commissione Internazionale Baleniera) prendano atto dei contenuti della
risoluzione e si impegnino affinché le indicazioni contenute nella stessa siano
applicate".
La risoluzione della Cms "rappresenta una svolta, anche perché, in tale circostanza, a prendere posizione contro la cattività è lo stesso mondo scientifico - spiega il direttore scientifico dell'Enpa, Ilaria Ferri - Una svolta resa possibile anche grazie all'impegno di Enpa e del comitato italiano nella Cms che hanno sollevato, oltre a motivazioni etiche, le questioni di natura etologica e conservazione delle specie. Ed è proprio sulla scia di tali argomentazioni che la Cms ha adottato una risoluzione storica, che dovrà ora essere ratificata dai 120 Paesi che l'hanno sottoscritta. Ecco perché l'Enpa chiede oggi al Governo italiano di recepire immediatamente la risoluzione della Cms nel nostro ordinamento giuridico e di vietare per sempre le importazioni dei cetacei destinati alla cattività". (Fonte Espresso)
La risoluzione della Cms "rappresenta una svolta, anche perché, in tale circostanza, a prendere posizione contro la cattività è lo stesso mondo scientifico - spiega il direttore scientifico dell'Enpa, Ilaria Ferri - Una svolta resa possibile anche grazie all'impegno di Enpa e del comitato italiano nella Cms che hanno sollevato, oltre a motivazioni etiche, le questioni di natura etologica e conservazione delle specie. Ed è proprio sulla scia di tali argomentazioni che la Cms ha adottato una risoluzione storica, che dovrà ora essere ratificata dai 120 Paesi che l'hanno sottoscritta. Ecco perché l'Enpa chiede oggi al Governo italiano di recepire immediatamente la risoluzione della Cms nel nostro ordinamento giuridico e di vietare per sempre le importazioni dei cetacei destinati alla cattività". (Fonte Espresso)
giovedì, novembre 13, 2014
VIA IL PIOMBO, PERICOLOSO PER BIODIVERSITÀ E PERSONE
VIA il piombo, pericoloso
per biodiversità e persone, dalle munizioni dei cacciatori. Al bando il
Diclofenac a uso veterinario che minaccia i grandi rapaci. Storici altolà alle mega industrie di farmaco e
armi emessi dalla COP11, l'undicesima Conferenza delle Parti della
Convenzione per le Specie Migratrici che si è appena conclusa a Quito, in
Ecuador. Altrimenti detta CMS o Convenzione di Bonn, fu adottata nell'omonima città nel 1979 ed entrò in
vigore nel 1983: trattato intergovernativo siglato sotto l'egida dell'Onu, si
pone obiettivi di conservazione e salvaguardia delle specie migratrici,
acquatiche e terrestri (in particolare quelle a rischio estinzione), nonché dei
rispettivi habitat in tutto il Pianeta, attraverso risoluzioni, accordi
specifici, restrizioni, divieti. Vi aderiscono 115 paesi oltre all'Unione
Europea, impegnati a recepire i suoi pronunciamenti. L'Italia ha ratificato la
CMS con la legge n.42 del 25 agosto 1983.
"E' un risultato
straordinario, frutto dell'impegno dell'intera comunità ambientalista
internazionale. Noi l'abbiamo sostenuto con lettere, pressioni, documenti,
rivolti tanto alle autorità italiane quanto alla Commissione europea. Ne
trarranno giovamento gli uccelli migratori, la natura e agli esseri umani. Ringraziamo
anche l'Ispra e il nostro Ministero dell'Ambiente", commenta Fulvio Mamone
Capria, presidente della Lipu-Birdlife Italia. Sull'avvelenamento da piombo,
già abolito da giocattoli, vernici, carburante, studi recenti hanno insistito,
incoraggiando una risoluzione che imporrà radicali cambiamenti all'industria
venatoria. Entro il 2017 infatti tutte le munizioni dovranno essere
sostituite con leghe non tossiche. "Studi scientifici condotti in molti
paesi e, in Italia, dall'Ispra, hanno evidenziato come il problema si estenda
ben oltre gli ambienti acquatici contaminati come stagni, fiumi e paludi,
generando una filiera vasta e letale", spiega Claudio Celada, direttore
Conservazione Natura della Lipu. "Nel complessivo avvelenamento
dell'ambiente si contaminano, fra gli altri, i predatori degli animali colpiti
- vedi quelli che ingeriscono le viscere degli ungulati lasciate al suolo dai
cacciatori - arrivando fino all'uomo".
Il piombo è presente nella quasi totalità delle munizioni venatorie: "Abbiamo partecipato in rappresentanza dell'industria ai lavori del COP11 di Quito, evidenziando formalmente che le proposte e le risoluzioni in discussione sono state raggiunte senza il preventivo coinvolgimento del settore, né tenendo conto di alcune importanti considerazioni tecniche", ribattono dall'Anpam-Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili. "Neppure si è effettuata una valutazione dell'impatto che la decisione di vietare il piombo nelle munizioni sportive e civili avrà a livello economico e occupazionale. Stupisce poi che la Cms e rappresentanti governativi ambientali UE non abbiano tenuto in alcuna considerazione il percorso di valutazione sull'impatto del piombo delle munizioni da caccia da tempo intrapreso con il supporto scientifico dell'Echa-European Chemichals Agency (ECA), da cui non sono giunte richieste di limitazione. L'impegno dell'ANPAM si è quindi limitato ad alleggerire i vincoli delle linee guida, ottenute con un pronunciamento finale che dà mandato agli stati membri di implementare le risoluzioni di Quito in funzione di specifici studi. Nei prossimi tre anni, con la possibilità di partecipare finalmente in modo attivo alla discussione, cercheremo di far emergere le considerazioni tecniche e scientifiche finora inascoltate".
Ambientalisti e animalisti esultano anche per il secondo provvedimento relativo al Diclofenac, farmaco antinfiammatorio per l'uomo (il Voltaren, ad esempio, è a base di Diclofenac) utilizzato pure in veterinaria per gli animali di allevamento destinati alla carne. Il secondo impiego è stato già vietato dal Governo dell'India, dove ha condotto sull'orlo dell'estinzione due specie di avvoltoi. Cibandosi dei corpi di cadaveri animali trattati con Diclofenac, questi uccelli muoiono in poche settimane di gotta viscerale, un'insufficienza renale che disintegra gli organi interni. Confermando ulteriormente come ogni specie sia di modello solo per sé, il dato suggerisce tra l'altro nuovi interrogativi sull'attendibilità della sperimentazione animale.
Il piombo è presente nella quasi totalità delle munizioni venatorie: "Abbiamo partecipato in rappresentanza dell'industria ai lavori del COP11 di Quito, evidenziando formalmente che le proposte e le risoluzioni in discussione sono state raggiunte senza il preventivo coinvolgimento del settore, né tenendo conto di alcune importanti considerazioni tecniche", ribattono dall'Anpam-Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni Sportive e Civili. "Neppure si è effettuata una valutazione dell'impatto che la decisione di vietare il piombo nelle munizioni sportive e civili avrà a livello economico e occupazionale. Stupisce poi che la Cms e rappresentanti governativi ambientali UE non abbiano tenuto in alcuna considerazione il percorso di valutazione sull'impatto del piombo delle munizioni da caccia da tempo intrapreso con il supporto scientifico dell'Echa-European Chemichals Agency (ECA), da cui non sono giunte richieste di limitazione. L'impegno dell'ANPAM si è quindi limitato ad alleggerire i vincoli delle linee guida, ottenute con un pronunciamento finale che dà mandato agli stati membri di implementare le risoluzioni di Quito in funzione di specifici studi. Nei prossimi tre anni, con la possibilità di partecipare finalmente in modo attivo alla discussione, cercheremo di far emergere le considerazioni tecniche e scientifiche finora inascoltate".
Ambientalisti e animalisti esultano anche per il secondo provvedimento relativo al Diclofenac, farmaco antinfiammatorio per l'uomo (il Voltaren, ad esempio, è a base di Diclofenac) utilizzato pure in veterinaria per gli animali di allevamento destinati alla carne. Il secondo impiego è stato già vietato dal Governo dell'India, dove ha condotto sull'orlo dell'estinzione due specie di avvoltoi. Cibandosi dei corpi di cadaveri animali trattati con Diclofenac, questi uccelli muoiono in poche settimane di gotta viscerale, un'insufficienza renale che disintegra gli organi interni. Confermando ulteriormente come ogni specie sia di modello solo per sé, il dato suggerisce tra l'altro nuovi interrogativi sull'attendibilità della sperimentazione animale.
Malgrado il precedente e
fra le proteste, tuttavia, un anno fa la Sanco (Direzione generale Sanità)
della Commissione europea rilasciava i permessi affinché il farmaco a uso
veterinario fosse consentito Italia e Spagna, luoghi fondamentali per la
preservazione degli avvoltoi nel nostro Continente. "La Conferenza
ha evidenziato l'estremo rischio costituito dal Diclofenac per questi
fragilissimi rapaci e, forse, altri. E' stata dunque sancita la necessità del
suo bando, invitando a sostituirlo con alternative, quali il Meloxicam, che
appaiono sicure, benché s'impongano adeguate verifiche", dice Mamone Capria:
"Ora l'Italia recepisca senza esitazione le risoluzioni di Quito, a
beneficio di ogni essere vivente. Per parte nostra lavoreremo assieme a
BirdLiIfe International affinché questo avvenga nei termini più rapidi e
completi". (Fonte l’espresso)
mercoledì, novembre 12, 2014
SBLOCCA ITALIA: IL PEGGIO DEL PEGGIO
ELETTROSMOG
E SBLOCCA ITALIA
Elettrosmog e Sblocca Italia, subito rinominata ‘Sblocca
Antenne’. All’art. 6 “Agevolazioni per la
realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga” si insinua una
mimetizzata deregulation per l’avanzata delle prossime
infrastrutture a supporto della connettività permanente via cellulare: il
trucco della legge Renzi sta nell’assenza di autorizzazioni per le
multinazionali delle telecomunicazioni assegnatarie delle frequenze bandite
dall’ultimo governo Berlusconi, che con l’escamotage dell’autocertificazione
per manutenzione/modifica degli impianti già esistenti (le antenne spuntate
come funghi sui palazzi!) potrebbero installarne indiscriminatamente di
più forti e potenti, senza chiedere niente a nessuno.
E’ al varco l’irradiamento della frontiera della rete
4G (Quarta Generazione, Long Term Evolution, LTE): prevede l’innalzamento di
quantità e velocità di trasmissione dati fino a 42M/bit al secondo (contro i 3
M/bit attuali, tecnologia 3G) per migliorare performance di onde Wi-Fi
e prestazioni di smartphone, tablet&C. con l’inevitabile rischio
di sforare i limiti soglia da inquinamento elettromagnetico. Che
vuol dire? Che per ‘infondere’ la 4G dovranno rifare ex novo i ripetitori,
perché quelli attuali sostengono un’altra tecnologia! E come li rifaranno?
Senza autorizzazioni, grazie allo Sblocca Italia! E col pericolo di
ulteriore elettrosmog!
Lo stratagemma, bypassando nulla
osta paesaggistici sull’impatto ambientale, incoraggerebbe una prevedibile
semina di antenne selvagge nuove di zecca, sempre più insidiose per la salute
pubblica, visto l’esponenziale incremento di popolazione elettrosensibile e i
casi di ripetitori fuori norma, non tutti monitorati delle ARPA regionali (6
V/metro il massimo nei centri abitati, spalmati nella rilevazione di 24 ore
grazie alla furbizia dell’abbattimento dei picchi diurni nella notte – regalino
alle TLC del Governo Monti – nonostante lo 0,6 V/metro da esposizione esterna
cumulativa sia invece il limite per effetti biologici sull’uomo sostenuto nel
Report 2012 dagli scienziati indipendenti del BioInitiative Group).
Argini in costruzione invece a Roma. Dopo 20 anni di
attesa e l’insabbiamento di una proposta di iniziativa popolare supportata da
23.000 firme di cittadini, vagliati i pareri dei municipi, è prossimo
al voto di Commissioni (Urbanistica e Ambiente) e Aula in Campidoglio il ‘Regolamento di Roma Capitale’ per
disciplinare la giungla imperversante di antenne e ripetitori da inquinamento
elettromagnetico. “Siamo
cautelativamente ottimisti – la sintesi di Giuseppe Teodoro, portavoce
del Coordinamento Comitati Romani contro l’Elettrosmog, intevenuto ieri ai
microfoni de Il Nemico Invisibile, trasmissione radiofonica
condotta dal giornalista Alessio Ramaccioni (coautore del libro inchiesta Onde Anomale – Editore Internazionale
Riuniti) – Vigileremo affinché il testo non sia aggredibile dai
ricorsi delle compagnie telefoniche. Vorremmo un Regolamento dalle 3P: Pianificazione,
Precauzione e Partecipazione popolare. Serve un catasto per Roma per
mappare gli impianti in città, un registro per le indagini epidemiologiche che
quantifichi le malattie ambientali e gli ammalati, oltre sanzioni certe per le
antenne oltre i valori soglia”. Cioè fuori legge. Ovvero coniugare libertà
di comunicazione, diffusione di tecnologie e tutela della salute. Pare
poco, ma sarebbe il giusto.
Infine dal Centro di Riferimento della Regione Lazio
per la diagnosi della Sensibilità Chimica Multipla (MCS è malattia ‘gemella’
dell’Elettrosensibilità) in questi giorni è stato rimosso il Prof. Giuseppe
Genovesi, responsabile della struttura nello Sportello delle Malattie Rare al
Policinico Umberto I di Roma, punto di riferimento per i malati di tutta
Italia: “per motivazioni molto vaghe”,
sostiene lui stesso sulla pagina Facebook.
Strana coincidenza: l’incarico viene sollevato a
Genovesi subito dopo l’intervista andata in onda la scorsa settimana su Italia
1, nel servizio “L’inquinamento che uccide!”.
Informare l’opinione pubblica della pericolosità delle
malattie ambientali fa più male… del male? (Fonte Il Fatto Quotidiano)
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