Un governo inadeguato a cambiare anche l'energia di questo paese
Come può un Governo che non è stato in grado di vedere tre anni fa la profonda crisi economica che era alle porte, avere l’autorevolezza di elaborare una strategia energetica di lungo respiro per il paese?
Il Governo, per voce del Ministro Romani, vorrebbe delineare questo autunno un grande piano energetico nazionale, convocando una Conferenza nazionale sull'energia, di cui però ad oggi ancora non si sa nulla e che peraltro viene annunciata dai tempi di Scajola. Semmai si farà, questo evento fa pensare ad un’ennesima passerella di personaggi con esiti finali fumosi e dove l’ultima parola l’avranno probabilmente i grandi dell’energia. Insomma, non c'è aspettarsi nulla di buono.
Questo governo è assolutamente estraneo a qualsiasi idea di rivoluzione energetica, alle fonti rinnovabili, all’efficienza energetica. Manca soprattutto di qualsiasi progetto di politiche industriali e per gli investimenti nella ricerca hi-tech, che anzi elimina senza valutarne i possibili benefici di medio termine. E’ ossessionato esclusivamente dalla quantità degli incentivi alle energie pulite e per questo, con la scure, li taglia, li sospende, li mette in dubbio, turbando mercato e operatori. Le rinnovabili e l’efficientamento del sistema energetico e dei consumi sono stati finora considerato un peso (ricordate il tentativo di Tremonti di abolire dall'oggi al domani la detrazione del 55%?), anziché un’opportunità, sia per il governo ma anche per una parte della Confindustria.
Ogni azione di questi anni ha dimostrato l’inadeguatezza al compito, a cominciare dal primo suo atto, cioè il rilancio del nucleare, che avrebbe affossato ogni speranza e slancio allo sviluppo delle energie pulite, nonostante alcuni commentatori si ostinavano a rassicurare che ci sarebbe stato spazio per tutti. Una balla colossale.
Per fortuna il pericolo del ritorno all’atomo sembra scongiurato, ma per questo è ora necessario che coloro che hanno fatto ritardare di 3 anni una nuova politica energetica, che doveva essere certo pragmatica, ma al tempo stesso discontinua rispetto al business as usual, si facciano da parte, perché non sarebbero in grado di gestire un passaggio epocale, non ne avrebbero le credenziali. In effetti proprio di passaggio epocale si tratta, perché vanno ancora messe le basi per il raggiungimento di un obiettivo molto ravvicinato e cogente, come quello che ci obbliga entro il 2020 a ridurre le emissioni del 20% e coprire il 17% dei consumi finali di energia finali con le energie rinnovabili. Ma anche di pensare ad una transizione energetica in cui le rinnovabili siano in grado di coprire la quasi totalità dei consumi di energia per metà secolo.
Il governo è schiacciato da una crisi che non comprende ancora ed è in tutt’altre faccende affaccendato, ma proprio perché lontano da questo mondo non capisce che una strategia per ammorbidire la crisi e provare a ridare fiato a questo paese sta proprio nel dirottare risorse e competenze nella direzione di un cambio di paradigma nel campo dell’energia. I settori della green economy negli ultimi anni di crisi in Italia hanno significato 2, forse 3 punti di Pil.
Alcuni operatori delle rinnovabili e dell’efficienza energetica potrebbe temere che le prossime scadenze (decreti attuativi, aggiornamento del piano d'azione nazionale al 2020, burden sharing, ecc.) possano essere disattese con una caduta del governo. Siamo proprio certi che questi atti saranno ben costruiti con questo esecutivo, per giunta in profonda crisi? Sarebbe capace di fornire quel quadro di certezze che gli operatori richiedono? Coinvolti in questi settori ormai, direttamente e indirettamente (lo dice anche Confindustria) ci sono diverse centinaia di migliaia di persone, che hanno il diritto di trovare una sponda nella politica nazionale e locale.
Purtroppo anche parte dell’opposizione del centro-sinistra, non è sufficientemente attenta a questa tematiche. Finora non si è vista nessuna proposta, se prescindiamo da quelle recente che parla di un incremento del 20% dell’efficienza energetica entro il 2020, di coprire al 2030 almeno il 30% dei consumi di energia totali con le rinnovabili e di ridurre dell’80% le emissioni al 2050. Tutte idee buone per un nuovo modello di economia low carbon che però vanno riempite di disposizioni operative e di concretezza. Ma cosa ne pensa la parte “non eco” del Partito Democratico? Molti dirigenti non hanno familiarità con la green economy, la citano a volte come uno slogan, ma sono tuttora fermi alle grandi opere, al trasporto su gomma e alle infrastrutture che esso richiede, agli inceneritori. Cosa ne pensano nel Pd e nel centro sinistra del carbone, del ruolo pubblico delle aziende energetiche legate agli enti locali, della raccolta differenziata spinta, delle smart grid, della riqualificazione energetica del parco edilizio? Sarebbe interessante sapere inoltre qual è la loro visione per un nuovo modello di società e di sistema dei consumi che sappia rispondere all’inestricabile legame, che si farà sempre più stretto, tra crisi energetica, ambientale ed economica.
In attesa di una nuova classe politica e dirigente proiettata nel futuro, non è il caso che una spinta per il cambiamento venga richiesta con maggior forza e con proposte concrete anche dal basso?
Fonte: Qualenergia
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