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mercoledì, agosto 03, 2011


Fotovoltaico: prezzi in picchiata, sovrapproduzione e grid parity


 


Eccesso di produzione, prezzi in picchiata e allora le condizioni per l'industrie si fanno più dure, ma la notizia buona è che la grid parity più vicina. Cosa succederà al mercato del fotovoltaico? I piccoli resteranno schiacciati dalla corsa a tagliare i costi di produzione, oppure, diventando il sole sempre più competitivo con le altre fonti, si creerà lo spazio per tutti? E' interessante quel che sta succedendo in questi ultimi tempi nel settore, descritto bene dall'ultimo rapporto di Solarplaza.
La domanda di moduli FV, vi si legge, potrebbe essere soddisfatta solo con la produzione delle 10 aziende più grandi, mentre a livello mondiale sono circa 400 i produttori di moduli. Stiamo andando cioè verso una situazione di oversupply. Tra i motivi, come abbiamo spiegato diverse volte (Qualenergia.it,Il fotovoltaico mondiale frena: è l'effetto Italia), ci cono i rallentamenti dovuti ai tagli degli incentivi in mercati importanti come il nostro e quello tedesco che con una domanda che cresce meno in fretta rispetto alla produzione. Conseguenza, dell'eccesso di offerta (ma anche delle riduzioni degli incentivi): già nei primi sei mesi dell'anno il prezzo dei moduli fotovoltaici è sceso del 25%.

 


Dunque, prezzi in picchiata che mettono a dura prova l'industria, ma che fanno avvicinare la grid parity, ossia il momento in cui il costo del kWh da FV diventerà competitivo senza sussidi rispetto alle fonti convenzionali (che in verità non sappiamo mai con esattezza quanto siano sussidiate). A quel punto le potenzialità di crescita del mercato diventerebbero infinite. Ma ce la faranno i piccoli della produzione di moduli a non rimanereschiacciati dai 10 giganti, che da soli al momento sarebbero in grado di soddisfare la domanda mondiale?
Le ambizioni dei grandi e la loro capacità produttiva, si vede dal report, sta crescendo molto più veloce del mercato. Queste aziende, di cui 8 sono cinesi, hanno già capacità produttive dell'ordine di qualche GW ciascuna. Per dare un'idea, l'anno scorso in Italia, secondo mercato più grande del mondo, si sono installati circa 2,3 GW (vedi statistiche su Qualenergia.it,Le cifre dell'energia fotovoltaica). E hanno in progetto di crescere ancora: alcune anche aumentando la capacità produttiva del 100%, come ad esempio LDK Solar, che vuole passare da 1,6 a 3 GW. Premesso che capacità produttiva non si traduce automaticamente in produzione, viene comunque da chiedersi: la torta sarà grande abbastanza per lasciare una fetta a tutti?
La domanda, spiegano da Solarplaza, troverà una risposta solo nei prossimi anni. Se i prezzi continuano a scendere si creeranno nuovi mercati e dunque nuova domanda. Ma se l'industria continua a crescere a ritmi troppi rapidi rispetto alle richieste del mercato non si potrà evitare l'oversupply, che avrà come conseguenze una lotta al ribasso sui prezzi, riduzione dei margini di guadagno e, dunque, tempi duri per le aziende meno solide.
Quel che è certo è però che sul medio-lungo termine la salute dell'industria nel suo complesso sarà ottima. Se diversi e relativamente poco prevedibili sono i fattori che influenzeranno la domanda (prezzo del petrolio, incentivi, politiche in materia di emissioni), il parametro che invece si conosce è chei costi e, sperabilmente i prezzi, del fotovoltaico continueranno a calare. Quando questa fonte sarà competitiva con le altre senza sussidi (in Italia potrebbe succedere già nel giro di 3-4 anni, Qualenergia.it, Fra tre anni fotovoltaico meno caro dell'elettricità dalla rete e Fotovoltaico, è crollo dei prezzi. Quali effetti?), le prospettive di crescita saranno pressoché infinite: si pensi, ricorda Solarplaza, che le previsioni della International Energy Agency dicono che il solare fornirà il 10% dell'elettrictà mondiale nel giro di 10-20 anni e che attualmente siamo appena allo 0,5%. Non manca certo lo spazio per crescere senza che nessuno resti soffocato.
Fonte Qualenergia




giovedì, maggio 05, 2011


MA QUALE NIMBY, È MALAPOLITICA: DOSSIER DEL WWF SULLE GRANDI OPERE INCOMPIUTE
 


E se non fosse poi così vero che gli ambientalisti sono dei gran rompiballe che sanno solo dire no? E se, invece, in Italia non si muove foglia e non si chiude un cantiere per colpa di qualcun altro? A quanto pare è così, a leggere il dossier "Nimby? No grazie" curato da Stefano Lenzi, responsabile Settore legislativo Wwf Italia.
Il dossier, che trovate a questo indirizzo:
(http://beta.wwf.it/UserFiles/File/News%20Dossier%20Appti/DOSSIER/Istituzionale/SindromeNimby_NoGrazie_DossierWWF.pdf), è corto ma abbastanza tecnico. Non di facile lettura ma assolutamente interessante perché parte da quello che, secondo l'associazione ambientalista, sarebbe il peccato originale delle grandi opere italiane: la legge italiana. Si legge nel dossier:
Il primo problema è che il Primo Programma delle infrastrutture strategiche (Delibera CIPE n. 121/2001) è troppo ambizioso - considerati anche i costi e i tempi di realizzazione che continuano rispettivamente a lievitare e a dilatarsi in maniera incontrollata - e non è sostenuto da un piano economico-finanziario credibile.
Le grandi opere, quindi, forse son troppo grandi persino per un grande paese come l'Italia. Ne derivano, a catena, una serie di problemi e incongruenze politico-amministrative che hanno bloccato i cantieri, puntualmente messe in evidenza anche dallaCorte dei Conti
(Fonte: CIP6)







 

martedì, aprile 26, 2011


Chernobyl, 25 anni fa la tragedia
Nel 1986 il disastro nucleare che fece migliaia di morti. Veglie a Kiev, proteste in Germania e in Francia



Sono iniziate nella notte in Ucraina le commemorazioni per il 25esimo anniversario del disastro nucleare di Chernobyl che causò migliaia di morti (quattromila secondo le stime dell'Onu). Alle ore 1.23 locali il patriarca della chiesa ortodossa Kirill ha fatto risuonare la campana di Chernobyl che segna per tradizione l'anniversario dell'incidente. Gli ambientalisti di Greenpeace hanno proiettato immagini sul reattore 4 che esplose il 26 aprile 1986. La deflagrazione e l'incendio che ne seguì sono passati alla storia come il più grande incidente nucleare civile di sempre, con un'emissione di radiazioni nell'atmosfera centinaia di volte superiore a quella delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Le conseguenze del disastro interessarono tutto il continente europeo e persistono ancora oggi. E l'anniversario assume maggior valore alla luce di quanto avvenuto a Fukushima dopo il terremoto e lo tsunami che hanno colpito il Giappone lo scorso 11 marzo. I due incidenti nucleari sono «di diversa natura», ci tiene comunque a sottolineare Tokyo. E nel giorno della ricorrenza il presidente russo, Dmitry Medvedev, ha annunciato che proporrà ai Paesi del G8 iniziative concrete per «aumentare la sicurezza delle centrali elettriche nucleari».
 




 BILANCIO CONTROVERSO - A 25 anni dalla catastrofe nucleare della centrale ucraina, a Kiev si tenta l'ennesimo bilancio sulla tragedia e le sue lezioni con una maxi conferenza, dopo la messa-lampo del patriarca e la rapida visita alla centrale dei presidenti di Ucraina e Russia, Viktor Janukovyc e Dmitri Medvedev, i due paesi più colpiti dalla nube radioattiva insieme alla Bielorussia. «La principale lezione è dire la verità alla gente», ha dichiarato il leader del Cremlino. In Russia l'organizzazione Bellona ha incendiato a San Pietroburgo diverse torce che si sono elevate in cielo. Dopo 25 anni, comunque, il bilancio della catastrofe suscita ancora controversie. Le autorità ucraine stimano che un totale di 5 milioni di persone abbia sofferto le conseguenze della tragedia. Per Greenpeace il numero varierebbe da 100 mila a 400 mila. In particolare, uno studio pubblicato nel 2006 indica che sulla base delle statistiche oncologiche nazionali della Bielorussia, i casi di cancro dovuti alla contaminazione di Chernobyl sono stimati in 270mila di cui 93mila letali nei settant'anni successivi all'incidente. Ma l'Unscear, la commissione scientifica dell'Onu per gli effetti delle radiazioni nucleari, riconosce solo 31 vittime dirette dell'incidente, tra operatori e pompieri. E nel suo rapporto dello scorso febbraio fissa a 6000 i casi di cancro alla tiroide (di cui 15 mortali), riconoscendolo come unica conseguenza diretta del disastro. Il problema è che è mancato lo screening sanitario. »Studi indipendenti condotti in Ucraina, Russia, Bielorussia e in altri Paesi dimostrano che le conseguenze all'esposizione anche a un basso livello di radiazioni sono molto più allarmanti di quello che la comunità internazionale vuole accettare«, sostiene Aleksander Glushcenko, un fisico nucleare autore di tre libri su Chernobyl.
 



  ITALIA - In Italia, alle prime luci dell'alba, attivisti di Greenpeace hanno trasformato il Circo Massimo in un memoriale a cielo aperto piantando duemila croci per ricordare le vittime della tragedia nucleare. «Queste croci ricordano simbolicamente le vittime di Chernobyl - ha spiegato Salvatore Barbera, responsabile della campagna Nucleare di Greenpeace Italia -, ciò che abbiamo imparato dall'incidente è che l'energia nucleare è troppo pericolosa per avere un futuro. Una lezione che molti governi, compreso il nostro, si ostinano a ignorare».

FRANCIA E GERMANIA - Quasi 150 mila anti-nuclearisti sono scesi in piazza lunedì in varie località attorno a 12 siti nucleari tedeschi e nei pressi di due centrali nucleari francesi per chiedere la chiusura di tutti gli impianti. Una protesta con un migliaio di manifestanti è andata in scena anche sul ponte sul Reno che collega Francia e Germania, tra Strasburgo e Kehl. È in Germania, dove gli anti-nuclearisti sono numerosi e ben organizzati, che si sono svolti i cortei e i raduni più importanti. L'obiettivo era quello di convincere la cancelliera Angela Merkel a chiudere definitivamente le centrali esistenti. Per il momento la signora Merkel ha congelato per tre mesi ogni decisione sul prolungamento della vita di alcuni impianti. Dopo l'incidente provocato dal sisma e dallo tsunami dell'11 marzo alla centrale nucleare giapponese di Fukishima, i militanti tedeschi stanno guadagnando popolarità. Nei pressi dei siti dove si sono tenute le manifestazioni sono state piantate numerose croci di legno in ricordo delle vittime del catastrofico evento che ha colpito il Giappone. Le manifestazioni si sono svolte a Gronau, nel nord est della Germania, dove 10 mila persone hanno chiesto la chiusura del sito, a Biblis (sud-ovest, con 15 mila partecipanti), a Kruemmel (nord, 17 mila), a Grohnde (nord-ovest, 20 mila) e Grafenrheinfeld (sud, 15 mila). Circa 20 mila persone hanno manifestato anche a Fassenheim, nella regione francese dell'Alsazia, e 3 mila attorno alla centrale di Cattenom, in Lorena.
Fonte Corriere della sera.it


 



sabato, aprile 02, 2011


Inquinamento industrie, corte ue condanna Italia



La Corte europea di giustizia del Lussemburgo ha oggi condannato l’Italia per la mancata applicazione entro i termini della direttiva Ue Ippc, sulla prevenzione e la riduzione dell’inquinamento industriale. La direttiva imponeva agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinche le autorità competenti controllassero, attraverso autorizzazioni, che gli impianti esistenti funzionassero secondo i requisiti dettati dalle norme Ue. Alla Corte si era rivolta la Commissione europea. Secondo l’esecutivo Ue, alla scadenza del termine del 30 ottobre 2007, numerosi impianti funzionavano senza essere dotati dell’autorizzazione e tale situazione persisteva allo scadere del termine previsto nel parere motivato inviato da Bruxelles all’Italia il 2 aprile 2009. Da una nota dell’Italia del 14 aprile 2009, ricorda la Corte nella sentenza, emerge che le autorità competenti non erano neppure in possesso di tutte le informazioni relative al numero di impianti presenti sul territorio nazionale e alle loro attività. Inoltre, l’Italia non avrebbe fornito alcuna informazione dettagliata per dimostrare l’equivalenza tra le autorizzazioni ambientali preesistenti e le autorizzazioni integrate ambientali come stabilisce la direttiva Ippc. L’Italia ha quindi giustificato la variazione dei dati comunicati adducendo che, fino alla metà del 2009, non tutte le autorità competenti regionali avevano ancora trasmesso informazioni complete. I giudici europei fanno rilevare che dalle informazioni comunicate dall’Italia nel 2009 “emerge che soltanto una parte delle autorizzazioni preesistenti era stata riesaminata e aggiornata, mentre le autorità competenti non avevano ritenuto necessario riesaminare le autorizzazioni di 608 impianti preesistenti”. Tra i vari obblighi che l’Ue ha imposto agli Stati membri, osservano i giudici, figura il “rilascio dell’autorizzazione integrale ambientale, finalizzato al conseguimento di un livello di protezione ambientale nel suo complesso”. Dalla direttiva – prosegue la Corte – risulta che i requisiti relativi al funzionamento degli impianti esistenti si applicano allo stesso modo, tanto in sede di esame per il rilascio di un’autorizzazione integrata ambientale, quanto in caso di riesame delle autorizzazioni preesistenti e quindi la verifica delle autorizzazioni preesistenti diretta solo a valutare l’assenza di un contrasto con la direttiva “non appare adeguata”. Per questo, la Corte ha ritenuto che l’Italia “non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma della direttiva Ippc, ovvero mediate il riesame aggiornato delle prescrizioni, che gli impianti esistenti funzionino secondo i requisiti imposti dall’Ue, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva Ippc”.


fonte: ansa.it/ambiente&energia









lunedì, gennaio 31, 2011


Nuovo incidente a Porto Torres. A finire in mare questa volta è acqua contaminata da gasolio

 



Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo per quanto affermato ieri dalla Capitaneria di Porto Torres sul (presunto) rientrato allarme della marea nera, ed ecco arrivare un’altra notizia poco confortante. Nuovo allarme a Fiume Santo: questa volta a finire in mare è stata dell’acqua contaminata da residui di gasolio pesante provenienti dal circuito delle acque reflue oleose e riversatesi nello specchio d’acqua interno al Porto Industriale, sito localizzato proprio nell’area in cui una settimana fa è avvenuto il guasto.
Per far luce sull’episodio la Procura di Sassari ha aperto un’inchiesta con l’ipotesi di reato di danno ambientale. Il nuovo episodio non fa altro che far aumentare la rabbia della popolazione locale che nella giornata di ieri aveva recepito con titubanza le dichiarazioni della Capitaneria sul presunto rientrato allarme. Secondo alcuni rappresentanti di associazioni che si stanno occupando del caso, si tratta di un nuovo problema che si va a sovrapporre ad un altro problema (quello della marea nera appunto) che in realtà è tutt’altro che risolto. La questione infatti, sentite le testimonianze, non sarebbe affatto archiviata. Anzi.
In particolare, denunciano gli stessi rappresentanti, il petrolio oltre ad aver invaso ben oltre venti chilometri della vicina spiaggia di Platamona ha raggiunto una porzione di mare particolarmente ricca di cetacei. Inoltre testimonianze dirette di persone raccontano che ad essere in condizioni preoccupanti sono soprattutto i chilometri finali della spiaggia in questione, inquinati all’inverosimile. Ma c’è di più: chiazze di olio combustibile sono state rinvenute nella zona della Gallura (quindi nella costa orientale della Sardegna) ad una distanza di circa cento km dal luogo dello sversamento a mare; il fenomeno di una così lontana migrazione del prodotto, dicono gli esperti, sarebbe stato favorito dalle condizioni climatiche avverse.
Intanto, vista la crescente preoccupazione, la ditta E.On ha garantito che finita la fase di emergenza provvederà ad una ripulitura più approfondita e che le coste in poco tempo ritorneranno come prima; per questo comunque bisognerà avere pazienza in quanto l’allerta durerà presumibilmente ancora qualche giorno. Non resta che attendere, augurandoci a tal proposito che le operazioni di bonifica vengano eseguite con celerità dato che le previsioni meteorologiche non sembra saranno clementi nei prossimi giorni.
fonte: ecoblog.it


 





 
 

domenica, gennaio 30, 2011


Repubblica: Marea nera in Sardegna: perdita carburante minaccia il santuario dei cetacei nel mediterraneo



Marea nera in Sardegna – La marea nera si estende nel Golfo dell’Asinara minacciando poco più a nord il santuario dei cetacei nel Mediterraneo. Non cessa l´inquinamento di olio combustibile derivato la scorsa settimana da una perdita nelle condotte della multinazionale tedesca E.On di Porto Torres. Quasi ventimila litri di carburante che dalle coste sarde nord-occidentali stanno estendendosi a est, verso Santa Teresa di Gallura e le Bocche di Bonifacio. Sono già due i parchi naturali a rischio: l’isola dell’Asinara e l’arcipelago della Maddalena.
Ieri mattina larghi tratti dell´area industriale di Porto Torres sono stati dichiarati off limits per i valori di benzene alle stelle.
E adesso, come denuncia l´Ente per la protezione degli animali, gigantesche onde di catrame si allargano pericolosamente verso l´area tra la Corsica e la Liguria dove vivono e si riproducono centinaia di balene e balenotteri. «È in corso una gravissima emergenza ambientale - avverte Emanuele Deiana, responsabile dell´Enpa di Cagliari – Ci chiediamo quanti quintali di petrolio siano ancora in mare, quanti abbiano soffocato la posidonia e quanti animali siano morti in uno specchio d´acqua tanto importante per la biodiversità e, in particolare, per i cetacei». Così importante che nel 1999 Francia, Italia e Principato di Monaco hanno ratificato un accordo internazionale dichiarando protetta la vasta zona, sottolinea Ilaria Ferri, direttore scientifico Enpa e già membro del Comitato tecnico per la tutela di queste specie.
L´Agenzia per la protezione ambientale della Sardegna e l´Asl 1 dell´isola hanno confermato elevati livelli di inquinamento in cantieri accanto al porto sardo e al vicino inceneritore. Dure accuse arrivano dal presidente della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici: «Chiediamo l´intervento del governo: come se non bastasse, nello scalo industriale di Porto Torres l´altro ieri c´è stato un altro incidente con nuovi versamenti di carburante in mare».
Intanto, dopo Platamona, Marina di Sorso, Marritza e Castelsardo, sulle spiagge fra Santa Reparata e Capo Testa sono stati raccolti 300 chili di catrame in poche ore. Le operazioni di bonifica continuano lungo decine di chilometri del litorale sino a Santa Teresa.
fonte: La Repubblica


 








 



 



 
 

sabato, gennaio 29, 2011

Porto Torres, il silenzio copre la marea nera


Al fine di stabilire le cause e le eventuali responsabilità della perdita in mare di migliaia di litri di olio combustibile avvenuta martedì scorso nello scalo industriale di Porto Torres, la Procura di Sassari ha aperto un’inchiesta. L’ipotesi di reato è di disastro ambientale ma, al momento, non ci sono indagati. Le prime relazioni richieste dalla Procura potrebbero arrivare sul tavolo del sostituto procuratore Paolo Piras entro la fine di questa settimana, al termine degli interrogatori da parte degli uomini della Capitaneria.



Secondo il comandante della Capitaneria di Porto Torres l’emergenza è rientrata e il mare non è contaminato. Eppure, la sensazione generale è che si tratti di un disastro sottovalutato, più che superato.
La marea nera continua infatti ad espandersi: ieri una chiazza di petrolio è stata avvistata anche vicino alla Corsica.
Intanto i cittadini di Sassari e Porto Torres chiedono di poter partecipare alle opere di bonifica delle coste invase dal ‘veleno nero’. La mobilitazione dei cittadini è comunque già in atto e, accanto ai comitati che si stanno formando e alla raccolta di firme, c’è chi ha deciso di protestare con un gesto forte e significativo.
Il 16 gennaio, infatti, gli artisti dell’Ex-Q insieme al circolo di Rifondazione Comunista hanno disegnato con le buste di plastica una gigantesca balena spiaggiata sul bagnasciuga del Terzo Pettine di Platamona, simbolo della protesta contro il danno ecologico determinato dalla fuoriuscita di combustibile degli impianti di Fiumesanto.
“La balena non è solo il simbolo dei pesci spazzati via dalla marea nera, ma più in generale di un intero ecosistema gravemente compromesso da una ingiustificabile negligenza della multinazionale E.On”, hanno spiegato gli artefici dell’operazione ‘Black fish’.
Decine di chilometri di spiaggia nel sassarese sono stati invasi infatti da cumuli di catrame che, dopo aver ucciso i pesci in mare, si insinuano ora in profondità nella sabbia.
Sotto la sabbia, insieme al petrolio, sembra stia finendo però anche l’intero disastro avvenuto soltanto una settimana fa in Sardegna. La macchia nera, stavolta tutta italiana, non sta infatti sporcando le pagine dei grandi giornali (e telegiornali) che appaiono disinteressati al disastro ambientale.
Il silenzio dei grandi media risulta però assordante per tutti quei cittadini preoccupati per le sorti della loro isola, troppo spesso ricordata soltanto per i ‘vip’ che lì trascorrono le vacanze estive, e per tutti coloro che vedono umiliato il più grande tesoro dell’Italia: l’ambiente.
fonte: ilcambiamento.it


 



venerdì, gennaio 28, 2011


La rabbia di Porto Torres



SOLTANTO per un caso la marea nera non ha invaso il Parco Nazionale dell’Asinara e non ha toccato spiagge rinomate come Stintino. Il danno però non è meno grave: martedì 11 gennaio nel Nord della Sardegna, 20 metri cubi (questa la cifra ufficiale, ma c’è chi dubita sia quella reale) di olio combustibile si sono riversati in mare durante un’operazione di scarico da una nave alla centrale termoelettrica di Fiumesanto, nel comune di Porto Torres.



A oltre una settimana dall’incidente, secondo quanto riferisce La Nuova Sardegna 2, le operazioni di bonifica in mare sono terminate, ma sulle spiagge del Golfo dell’Asinara, nel territorio che interessa tre comuni (Porto Torres, Sassari, Alghero) rimangono i segni del disastro. Chilometri di arenili incatramati, uccelli e pesci morti, dune di valore incommensurabile per l’ecosistema da ripulire asportando la sabbia e, soprattutto, la rabbia dei cittadini che da anni chiedono maggiore controllo per un’area marina dall’indubbia importanza ambientale e turistica.



L’incidente. La centrale termoelettrica di Fiumesanto, proprietà della multinazionale E. On, da anni è al centro di polemiche. I suoi impianti sembrano un bubbone sulla pelle di una costa dove anche la spiaggia meno bella ha acque azzurre e spiagge bianche. Non ci sono soltanto le ciminiere E. On a deturpare il paesaggio: le costruzioni della centrale sono le ultime del grande agglomerato industriale di Porto Torres, nato negli anni Settanta, quando una politica industriale folle pensava di fare della Sardegna un polo chimico, ora diventato una cattedrale nel deserto che ha lasciato in agonia aziende e un’intera cittadina, Porto Torres.
La centrale è alimentata a olio combustibile, portato da navi che per il loro carico rappresentano da sole un pericolo. Come sia avvenuto l’incidente di martedì 11 non è ancora chiaro (c’è un’inchiesta della Procura in corso). Secondo la ricostruzione fatta ieri durante un vertice tra la E. On, le autorità locali e la Capitaneria di porto, a cedere sarebbe stato un tubo vecchio, mentre altre fonti parlano di “fenditure” nei cassoni per il contenimento dell’olio sulla banchina. In entrambi i casi è lecito ipotizzare gravi negligenze nelle operazioni di scarico e nel controllo dei macchinari utilizzati.
La dinamica. L’olio combustibile che si è riversato in mare non è soltanto inquinante, ma cancerogeno al contatto diretto. Secondo E. On sono stati 20 metri cubi a riversarsi in mare, una quantità modesta, ma la sostanza a contatto con l’acqua aumenta il suo volume 16 volte ed è stato così che la marea nera ha invaso un ampio tratto di arenile. Quando c’è stato lo sversamento soffiava prima vento di ponente e poi maestrale, perciò la chiazza è stata spinta verso Est, ha “saltato” Porto Torres ed è finita sulle spiagge di Platamona e Marritza, quasi fino a Castelsardo. Il Parco dell’Asinara è stato risparmiato, ma sarebbe bastato un soffio di libeccio e la marea avrebbe preso in pieno Stintino e la zona protetta. Non è una consolazione: alle spalle di Platamona si trova l’omonimo stagno, zona di interesse ambientale tutelata dall’Unione Europea. Lo stagno non ha ampie comunicazioni con il mare, ma per la sua salute sono fondamentali le dune che lo proteggono, proprio quelle su cui dovranno lavorare le ruspe per rimuovere il catrame.
La mobilitazione dei cittadini. La E. On ha avviato le operazioni di bonifica e ieri, secondo la capitaneria di porto e l’azienda, in mare la situazione appariva sotto controllo. Nonostante le rassicurazioni che l’olio combustibile resta a livello superficiale, esiste un’ampia letteratura che documenta danni nel lungo periodo anche sul fondo marino. E resta il problema degli arenili, dove rimossa la sabbia superficiale (e anche questo è un danno) ci sono pietre e rocce piene di catrame che andranno portate vie o resteranno lì con il loro rivestimento cancerogeno. “Prima di tutto abbiamo chiesto un risarcimento – dice Beniamino Scarpa, sindaco di Porto Torres – ma superata l’emergenza vogliamo che da questo incidente si prenda spunto per decidere in maniera seria che cosa fare del nostro futuro. Quanto accaduto è sintomo di un problema sotto gli occhi di tutti, quello del rapporto tra industria e territorio. Da anni il nostro comune cerca di avere risposte per la bonifca dell’area e per sapere che si vuole fare della zona industriale, ma l’Eni non ci dice nulla”.
Intanto i cittadini si sono organizzati in comitati perché su quanto accaduto non cali il silenzio. Chiedono di prendere parte alle operazioni di bonifica insieme ai tecnici della E. On, vogliono accertare la reale entità dei danni. Nel disastro, l’unica nota positiva è la veemenza con cui ha reagito la gente per riaffermare il suo diritto a proteggere il territorio.
fonte: repubblica.it


 







 

domenica, gennaio 16, 2011


Referendum nucleare: l’Associazione italiana nucleare si costituisce presso la Corte Costituzionale



L’Ain, Associazione italiana nucleare, che raccoglie gli scienziati favorevoli al ritorno italiano al nucleare, è scesa in campo per chiedere alla Corte Costituzionale di non ammettere il referendum grazie al quale gli italiani potrebbero scegliere in prima persona se voglio, o no, le centrali nucleari in casa propria.
 




Secondo l’Ain il referendum difetta di “omogeneità, chiarezza ed univocità, nonché per idoneità al raggiungimento del fine prefissato”. Inoltre Ain crede che, qualora il referendum dovesse passare ed essere votato favorevolmente dagli italiani, ci potrebbe essere un conflitto con gli impegni internazionali presi dal nostro paese.
A poche ore dalla decisione della Corte, che deve decidere se il referendum è ammissibile o meno, arriva quindi un estremo tentativo di impedire agli italiani di esprimere un parere su un tema così importante. Resta sempre il solito dubbio: se è così lampante che il nucleare è bello, buono e pulito, perché mai deve essere imposto dall’alto e non deciso, eventualmente, dal basso?
fonte: ecoblog.it


 



martedì, dicembre 07, 2010


Chi uccide il clima in Italia?



Sono 13 milioni le tonnellate (Mt) di CO2 emesse nel 2009 dalla centrale Enel a carbone "Brindisi sud". A seguire la Centrale Edison di Taranto con 5,9 Mt di CO2 e la raffineria Saras di Sarroch con 5,2 Mt di CO2.
Anche se le cifre rimangono alte, complici la crisi economica e l'effetto degli interventi di efficientamento energetico, la CO2 nel 2009 è calata. Da 538,6 milioni di tonnellate del 2008 siamo passati a quota 502 milioni. Ma non basta.
Rispetto al 1990, infatti, la diminuzione è stata del 3%, meno della metà dell'obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto. Non solo, le emissioni della centrale Enel a carbone "Brindisi sud" registrate nel 2009, hanno superato ampiamente le quote e i limiti di 10,4 Mt di CO2 imposti dalla Direttiva europea sulle emissioni (Emission Trading Scheme).



I dati degli ultimi cinque anni dimostrano una riduzione costante delle emissioni del settore termoelettrico, passate dalle 147 Mt del 2005 alle 122,2 del 2009. Il merito è anche della massiccia diffusione delle fonti rinnovabili, il cui contributo sulla produzione totale di energia elettrica ha oramai superato il 20%. Esiste un ampio margine per aumentare questa quota di energie verdi, ma si continua a puntare sul carbone e, in un futuro più lontano, sul nucleare.



Le centrali a carbone autorizzate o in corso di autorizzazione prevedono un totale di circa 40 nuovi Mt di CO2. Se realizzate, impediranno all'Italia di raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2020 e potranno gravare sui contribuenti per centinaia di milioni di euro. In particolare, il piano di investimenti di Enel comporterebbe quasi il raddoppio delle sue emissioni di CO2. Vogliamo veramente che la politica ambientale del maggior gruppo elettrico italiano sia proprio questa?
È il momento giusto per orientare il nostro sistema economico produttivo verso soluzioni innovative, basate sulle fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, capaci di generare occupazione sostenibile e durevole, migliorare la qualità dell'ambiente e della vita delle persone.
Nei giorni scorsi il Governo ha presentato una proposta di Decreto legislativo in attuazione della Direttiva rinnovabili. Nonostante alcuni aspetti innovativi, la proposta assesta un colpo mortale allo sviluppo dell'energia eolica e colpisce il comparto fotovoltaico, riducendo il meccanismo degli incentivi in maniera disordinata. Chiediamo al Governo una revisione della proposta. 


 

giovedì, novembre 18, 2010

GLI INCENERITORI


 Gli inceneritori producono nanoparticelle.
Le nanoparticelle entrano nell'organismo e producono tumori. La raccolta differenziata produce invece ricchezza e non avvelena l'ambiente. I bambini sono i più esposti alle malattie. Perchè in Italia si continuano a progettare, costruire, spacciare inceneritori invece di promuovere la raccolta differenziata? Chi ci guadagna?
Chi sono gli spacciatori di morte?
Chi sono i nuovi Erode?


"Gentile,
vorremmo invitare Lei e tutti i suoi lettori ad un attimo di riflessione su questa frase: “la deliberata spietatezza con la quale la popolazione operaia è stata usata per aumentare la produzione
di beni di consumo e dei profitti che ne derivano si è ora estesa su tutta la popolazione del pianeta, coinvolgendone la componente più fragile che sono i bambini, sia con l’esposizione diretta alla pletora di cancerogeni, mutageni e sostanze tossiche presenti nell'acqua, aria, suolo, cibo, sia con le conseguenze della sistematica e accanita distruzione del nostro habitat”.
Queste parole, che concludono un articolo sui rischi attribuibili ad agenti chimici scritto dal professor Lorenzo Tomatis nel 1987, ci sono tornate alla mente come una lucida profezia davanti agli ultimi, recentissimi dati sull’incidenza di cancro nell’infanzia in Italia pubblicati dall’Associazione Italiana dei Registri Tumori (AIRTUM: I tumori infantili Rapporto 2008).
Se già i dati pubblicati da Lancet nel 2004, che mostravano un incremento dell’ 1.1% dei tumori infantili negli ultimi 30 anni in Europa, apparivano preoccupanti, quelli che riguardano il nostro paese, riferiti agli anni 1998-2002 ci lasciano sgomenti. I tassi di incidenza per tutti i tumori nel loro complesso sono mediamente aumentati del 2% all’anno, passando da 146.9 nuovi casi all’anno (ogni milione di bambini) nel periodo 1988-92 a ben 176 nuovi malati nel periodo 1998-2002. Ciò significa che in media, nell’ultimo quinquennio, in ogni milione di bambini in Italia ci sono stati 30 nuovi casi in più. La crescita è statisticamente significativa per tutti i gruppi di età e per entrambi i sessi. In particolare tra i bambini sotto l’anno di età l’incremento è addirittura del 3.2% annuo.
Tali tassi di incidenza in Italia sono nettamente più elevati di quelli riscontrati in Germania (141 casi 1987-2004), Francia (138 casi 1990-98), Svizzera (141 casi 1995-2004). Il cambiamento percentuale annuo risulta più alto nel nostro paese che in Europa sia per tutti i tumori (+2% vs 1.1%), che per la maggior parte delle principali tipologie di tumore; addirittura per i linfomi l’incremento è del 4.6% annuo vs un incremento in Europa dello 0.9%, per le leucemie dell’ 1.6% vs un + 0.6% e così via.
Tutto questo mentre si vanno accumulando ricerche che mostrano con sempre maggiore evidenza come sia cruciale il momento dello sviluppo fetale non solo per il rischio di cancro, ma per condizionare quello che sarà lo stato di salute complessivo nella vita adulta.
Come interpretare questi dati e che insegnamento trarne?

Personalmente non ne siamo affatto stupiti e ci saremmo meravigliati del contrario: i tumori nell’ infanzia e gli incidenti sul lavoro, di cui ogni giorno le cronache ci parlano, unitamente alle malattie professionali, ampiamente sottostimate in Italia, sono due facce di una stessa medaglia, ovvero le logiche, inevitabili conseguenze di uno “sviluppo” industriale per gran parte dissennato, radicatosi in un sistema di corruzione e malaffare generalizzato che affligge ormai cronicamente il nostro paese.
Potremmo, sintetizzando, affermare che lo stato di salute di una popolazione è inversamente proporzionale al livello di corruzione e quanto più questo è elevato tanto più le conseguenze si riversano sulle sue componenti più fragili, in primis l’infanzia, come Tomatis già oltre 20 anni fa anticipava.
Le sostanze tossiche e nocive non sono meno pericolose una volta uscite dalle fabbriche
o dai luoghi di produzione e la ricerca esasperata del profitto e dello sviluppo industriale – a scapito della qualità di vita -, non può che avere queste tragiche conseguenze."
Dott. Michelangiolo Bolognini Igenista - Pistoia

Dott,ssa Maria Concetta Di Giacomo Medico di Medicina Generale - Padova
Dott. Gianluca Garetti Medico di Medicina Generale - Firenze
Dott. Valerio Gennaro Oncologo-Epidemiologo - Genova
Dott.ssa Patrizia Gentilini Oncologo – Ematologo - Forlì
Dott. Giovanni Ghirga Pediatra - Civitavecchia
Dott. Stefano Gotti Chirurgo - Forlì
Dott. Manrico Guerra Medico di Medicina Generale - Parma
Dott. Ferdinando Laghi Ematologo - Castrovillari
Dott. Antonio Martella Oncologo - Tossicologo Napoli
Dott. Vincenzo Migaleddu Radiologo - Sassari
Dott. Giuseppe Miserotti Medico Medicina Generale - Piacenza
Dott. Ruggero Ridolfi Oncologo-Endocrinologo - Forlì
Dott. Giuseppe Timoncini Pediatra - Forlì
Dott. Roberto Topino Medico del Lavoro - Torino
Dott. Giovanni Vantaggi Medico di Medicina Generale -Gubbio