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mercoledì, giugno 29, 2011


Contro la paura e la reticenza:
il caso Mignogna diventa simbolo



Partecipazione e coinvolgimento alla manifestazione di solidarietà per il giornalista Michele Mignogna, minacciato diverse volte, organizzata dall’associazione Libera a Larino, in piazza. Tra bandiere , giovani e donne che hanno letto articoli su inchieste che documentano interessi e intrecci illegali, il Molise ha mostrato la sua faccia pulita, quella che respinge il ritornello dell’isola felice e chiede controllo del territorio e legalità














 

 

 

 


Larino.Esattamente due settimane fa Michele Mignogna, giornalista di Larino autore di inchieste fra le più scottanti e delicate della storia recente basso molisana, collaboratore di Primonumero.it e di Tlt Molise, ha trovato un sacchetto di plastica blu sulla scala esterna dell’ingresso della sua abitazione. Dentro una scoperta macabra: una testa di capretto sanguinolenta e un biglietto di cartoncino con una frase - scritta in stampatello a matita - dai toni offensivi, indirizzata a lui.
 



E’ l’ultimo di una serie di episodi ai danni del cronista, sul cui cellulare sono arrivate minacce esplicite da ignoti (in corso le indagini) e la cui auto era stata già presa di mira con il taglio di tutti e quattro gli pneumatici. Chiari, inequivocabili tentativi di intimidirlo, di chiudergli la bocca e farlo spaventare per evitare che indaghi, che porti alla luce intrecci di malaffare in un territorio, come il basso Molise, ormai ben lontano da quell’idea di “oasi felice” che certa classe politica continua a propinare come un ritornello stantio e anacronistico.
 



Decine e decine di messaggio di solidarietà, incitamenti ad andare avanti nella consapevolezza che non si è soli nella battaglia per la verità, sono arrivati a Michele Mignogna, che come ha ribadito con uno dei suoi sorrisi migliori, non arretra di un millimetro rispetto al dovere di raccontare quello che vede e che verifica, «carte alla mano».
 



«Non siamo eroi, siamo persone che credono in questo lavoro e che non indagano per rompere le scatole a qualcuno, ma per cercare la verità e migliorare la nostra terra»: Michele ha sintetizzato con parole semplici e per questo ancora più efficaci il tanto dibattuto concetto di “libertà di stampa”. Davanti a una piazza gremita, fatta di molti giovani, donne del mondo delle associazioni, movimenti e esponenti politici che hanno voluto farsi vedere per ricordare che quello delle minacce a un giornalista scomodo è un tema che tocca tutti, una comunità intera e una regione.
 


L’iniziativa è stata organizzata da Libera, l’associazione impegnata in prima linea contro le mafie nata anche in Basso Molise sulla scia di quei territori dove le infiltrazioni malavitose sono realtà assodate e ogni giorno, a fatica e con immensi sacrifici, si combatte contro la tentazione dell’omertà e la paura che chiude le bocche e i cuori. La manifestazione di solidarietà per il giornalista è diventata occasione per riflettere, a voce alta e senza timori, sui rischi che corre la nostra regione, sulla sua appetibilità – dimostrata dalla cronaca – per le ecomafie che gestiscono il lucroso business dei rifiuti avvelenati, per il malaffare che mette le mani sulla sanità, per le speculazioni che soffocano la natura e la giustizia sociale.


All’introduzione ha fatto seguito la lettura di alcuni articoli che Mignogna ha scritto per Primonumero.it, in primis l’ormai famosissima inchiesta sul traffico di liquami al depuratore del Nucleo Industriale, che ha anticipato i risultati di una indagine giudiziaria che ha portato in carcere l’ex presidente del Cosib Del Torto e indagato numerosi personaggi da novanta della scena politica, fra cui lo stesso presidente della Regione Michele Iorio.
Bandiere della società civile, qualche sigla politica, ma soprattutto volti pieni di interesse e voglia di affrontare di petto, con le parole e l’impegno quotidiano ognuno nel suo piccolo, l’attuale situazione che vede il “tranquillo” Molise minacciato e in parte già aggredito da interessi mafiosi. Col rischio, come è stato ricordato nel corso degli interventi, che a farne le spese sia anche la mentalità generale, che in questa «terra di confine in cui non si spara ma la mafia è presente lo stesso», per citare alcune parole del magistrato Cantone lette durante l’incontro, corre il pericolo di diventare omertosa e sempre più passiva.

Così il caso di Michele Mignogna, che ha profondamente sconcertato l’opinione pubblica, è diventato simbolo di libertà e legalità. Una scossa per ricordare a una comunità incredula davanti a un messaggio intimidatorio di chiara matrice mafiosa che è necessario, ora più che mai, difendere il valore della verità e non soccombere alla paura. Con il cronista anche la moglie Gina, alla quale è andato il pensiero dei presenti per il clima di timore che in questo momento sta condizionando una famiglia normalissima, e l’auspicio che le minacce si arrestino e i colpevoli vengano individuati.
Fonte: Primonumero



 



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