INQUINAMENTO AMBIENTALE E TUMORI:
CI SONO POSTI IN CUI SI MUORE IN SILENZIO
i sono posti in cui ci si ammala e si muore in
silenzio. Nel silenzio dei vivi. Specie di quelli che contano. Anche
quando questo accade in maniera seriale. Anche quando le cause di quelle malattie e di quelle morti, con
elevata probabilità logica, stanno nell’ambiente di
quegli stessi posti; nella loro aria, nella loro acqua, nella loro terra, nei
loro luoghi di vita e di lavoro. Brindisi è uno di quei posti. Le ragioni
di quel silenzio possono essere varie.
Per esempio, la
vicinanza “oscurante” con altri luoghi certamente ancora più martoriati
nell’ambiente e nella salute pubblica, nei quali ultimi, però, vi sia anche
un’altra, migliore, situazione socio-ambientale: una magistratura requirente
più reattiva; un sistema dei mezzi d’informazione, locali e nazionali, più
vigile; una cittadinanza, nel suo complesso, appena meno catatonica sotto il
profilo civile. Uno di questi ultimi posti è Taranto. Nell’immaginario
collettivo nazionale (e ormai internazionale), l’emergenza ambientale e
sanitaria in Puglia è Taranto. E’ certamente vero.
A Taranto i numeri, tragici, della malattia e della morte, causata da
alcuni uomini all’ambiente e ad altri uomini di quella città, sono ormai incisi
in atti processuali,
oltreché nella carne viva di chi ci vive.
A Brindisi si registra un costante
eccesso di mortalità maschile, dagli anni ’80 fino all’ultimo dato del 2009;
una prevalenza di Broncopatia Cronica Ostruttiva nelle donne del capoluogo; una
maggiore incidenza e mortalità per alcuni tumori in prossimità dell’area
industriale; un aumento complessivo del tasso di incidenza per tutti i tumori
dal 1999 al 2006; una maggior incidenza di malformazioni neonataliin
corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa (un
marcatore di emissioni energetiche); incrementi di ricoveri e decessi per malattie
cardio-respiratorie in
corrispondenza di innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni
macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall’area
industriale.
Questi sono dati sanitari acquisiti grazie a studi scientifici e
a scienziati affidabili, anche perché indipendenti. Ma restano
solo una fredda
rilevazione scientifica, priva di ogni conseguenza
“legale”. Anche quando questi dati parlano, urlano di patologie, di
decessi di origine ambientale. Malati e morti a cui, quindi, si dovrebbe
rendere almeno giustizia, se non si è stati capaci di evitarli.
Ma a Brindisi è storicamente più
difficile avere giustizia, specie per chi si ammala e muore “di ambiente”,
specie di ambiente di lavoro. In tutta Italia, da Mantova a
Taranto ad Avellino, si esercita l’azione penale o addirittura si condanna per le morti
da mesotelioma.
E’ un tumore rarissimo e vuol dire esposizione all’amianto,
dunque, con elevata probabilità logica, significa violazione della normativa in
materia ambientale e, soprattutto, di sicurezza sul lavoro da parte di chi era
tenuto a osservarla.
A Brindisi, un
oncologo, il dott. Maurizio Portaluri, primario
del reparto di radioterapia dell’Ospedale Perrino, denuncia di aver refertato
all’Autorità Giudiziaria, dal 2001 al 2013, 5 mesoteliomi in lavoratori delle industrie brindisine, oltre a vari
altri tumori (tra cui l’altrettanto famigerato angiosarcoma) estremamente
indicativi di esposizioni professionali. Ad oggi non risultano processi
penali per questi fatti. Forse le indagini sono in corso.
Sono certamente
indagini complesse, richiedono tempo, specie per l’individuazione dei possibili responsabili delle azioni od omissioni penalmente
rilevanti. Ma il codice di procedura penale afferma ancora che, per questo tipo di
reati, le indagini preliminari durano “6 mesi dalla data in cui il nome della
persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie
di reato”, prorogabili per lo stesso termine “per non più di una volta”.
E quei referti,
a quanto dice l’oncologo, sono arrivati in Procura da anni. “Quando si muore,
si muore soli”, canta il poeta di via Del Campo. Quando si muore senza
giustizia è peggio, anche per chi resta. Perché rendere giustizia a chi è
morto in maniera “innaturale”, a tacer d’ogni altra considerazione, resta il
modo migliore per prevenire altre morti analoghe. (Fonte: Ambiente & Veleni)
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