Capodogli spiaggiati a Vasto: come il nostro mare diventa inospitale
Ancora una volta, ancora
nell’Adriatico, il nostro mare diventa inospitale
per le più antiche creature del Mediterraneo. Che cosa avviene? E’ possibile che le trasformazioni di cui è
protagonista il mare (gran parte indotte da noi) lo rendano inospitale per i
nostri simili più vicini? La frattura che stiamo provocando tra noi e la natura
diviene davvero così insanabile? Il problema è che più mettiamo l’uomo al
centro più ci allontaniamo da madre natura, più pensiamo di essere protagonisti
dei cicli naturali più non riusciamo a comprenderli…
Uccidiamo
d’anestetico un’orsa che difende i propri cuccioli, devastiamo
l’Adriatico con le prospezioni petrolifere con potentissimi sonar e poi cosa
attendiamo? Pensiamo davvero non vi debbano essere delle conseguenze? Non per
noi, è vero, ma per i nostri figli sì… E allora cosa importa, lasciamogli le briciole… insegniamogli che la
vita vera è quella a cui li abbiamo abituati, che un tonno è solo una
scatoletta, e che un capodoglio o una balena è un disegno su un
libro di fiabe. Togliamogli la gioia di vederlo affiorare dalle acque blu,
togliamogli l’empatia di cui ciascun essere umano ha bisogno, togliamogli la
felicità vera, insieme alla speranza.
I risultati
delle analisi hanno superato le più nefaste previsioni dei biologi.
Sono stati rilevati livelli altissimi di metalli
pesanti tossici. Oltre al mercurio, il più pericoloso di
questi veleni, anche cadmio, titanio, piombo, argento e cromo, un metallo che
non si corrode e usato per produrre acciai ad alta resistenza nonché nelle
vernici, nei coloranti e nella concia delle pelli (…). Gli inquinanti passano
alle generazioni future attraverso il latte che le madri danno ai loro piccoli.
Con l’allattamento i grandi mammiferi forniscono ai cuccioli tutte le sostanze
solubili nel grasso accumulate da sempre. Alcuni biologi sono convinti che non
saranno solo le baleniere giapponesi o norvegesi a provocare l’estinzione dei
cetacei, ma l’eredità dei veleni da allattamento. E, invece, nel nostro latte
materno quanti veleni possono concentrarsi? Perché, se è vero che non siamo
inuit, non viviamo in Giappone, Norvegia o alle isole Fær Oer dove ci si ciba
anche di balene e delfini, mangiamo pur sempre specie che hanno la stessa
capacità di bioaccumulare inquinanti (tra cui il mercurio) come tonni, pesci
spada e squali. Tuttavia l’uomo, a differenza di questi ultimi,
li espelle molto difficilmente. Rischiamo di fare la stessa fine dei capodogli
di Vasto?
Rispondere
non è semplice. Vi sono differenti livelli di rischio che possono riguardare
chiunque consumi pesce e, specialmente, alcune categorie come le donne gravide
e i bambini. Ma il pericolo è variabile, dipende dalla concentrazione di veleno
in ciò che mangiamo. L’esperienza insegna, però, che quando gli scarichi di
mercurio si concentrano in una determinata zona di mare gli effetti possono
essere devastanti. I primi casi si registrarono già negli anni Cinquanta, ma
non riguardavano il Mediterraneo: sulle coste del mar del Giappone i gatti
iniziarono a ballare su due zampe. (il fatto)
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