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martedì, dicembre 23, 2014

COMUNICATO STAMPA

DISSESTO IDROGEOLOGICO

Si è svolto lunedi 22 Dicembre 2014, presso palazzo Norante a Campomarino, un convegno sul dissesto idrogeologico, all’incontro organizzato da Ambiente Basso Molise e Protezione Civile di Campomarino hanno relazionato prestigiosi relatori.
Il geologo dott. Marcello Di Stefano ha illustrato in modo efficace ed esauriente l’aspetto più teorico della problematica trattata nel convegno e l’esperto di protezione civile, l’ing. Sergio Di Pilla, ha illustrato la possibilità di interventi in casi di emergenza per un dissesto idrogeologico sia dal punto di vista tecnico che comunicativo.
In un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi, la gestione irrazionale del territorio porta a conseguenze disastrose.
E' evidente l’assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell’impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività.
E’ risultato molto interessante il lavoro, molte volte oscuro, che effettua la protezione civile molisana nella prevenzione dei dissesti con il continuo monitoraggio del territorio. 
Ha concluso l’incontro informativo/formativo l’ing. Pasquale Marcantonio responsabile ABM, il quale ha parlato delle attività agricole attraverso le quali, con pratiche di gestione sostenibile, si può incidere positivamente sul presidio del territorio e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto, tenuto conto che buona parte del territorio basso molisano è tutt’ora agricolo.
In sala erano presenti soci di ABM, giovani studenti, rappresentati di associazioni locali.
Un nuovo incontro è stato fissato per il 17 gennaio 2015 a Guglionesi.
L’incontro rientra nell’ambito dei progetti di micro azioni partecipate dei Centri di Servizio del Molise.
li 23 dicembre 2014
  Il Presidente

Luigi Lucchese





venerdì, dicembre 19, 2014

COMUNICATO STAMPA


FIUMI E DISSESTO IDROGEOLOGICO

Come sempre accade in questo strano Paese, dopo ogni catastrofe, dopo ogni perdita ci si rimbocca le maniche giurando che quello che finora è accaduto non accadrà più. 
Il periodo invernale per l’Italia negli ultimi anni, se non decenni, ha segnato un tragico appuntamento con frane, alluvioni, fenomeni atmosferici violenti, ma soprattutto vittime, troppe vittime, che di anno in anno si aggiungono ad una tragica lista, che continua ad aggiornarsi e che, inesorabilmente, continuerà probabilmente a farlo ancora per molto tempo.
Una scellerata e sconsiderata pianificazione territoriale, unita ad una terra geologicamente attiva e morfologicamente complessa, insieme a cambiamenti climatici sempre più spinti e violenti, creano un mix letale, contro cui è difficile difendersi, se non con una radicata e attenta prevenzione su tutto il territorio nazionale.
Di questo si parlerà nell’incontro organizzato da Ambiente Basso Molise e Protezione Civile di Campomarino con un sguardo attento   sulla situazione dei fiumi Biferno, Sinarca e Saccione.
L’incontro informativo/formativo, rientra nell’ambito della azioni micro partecipate dei Centri di Servizio del Molise e   si svolgerà alle ore 17 di   lunedì 22 dicembre p. v.  a Campomarino presso palazzo Norante.
li 19 dicembre 2014  
  Il Presidente
Luigi Lucchese


lunedì, dicembre 08, 2014

COSTITUENTE

IL DECRETO “SPORCA ITALIA” E' LEGGE: APPELLO PER PROSEGUIRE LA MOBILITAZIONE
PER UN'ASSEMBLEA MACRO-REGIONALE ABRUZZO, MARCHE E MOLISE
DOMENICA 14 DICEMBRE 2014 (10:00 -13:30/14:30-17:00).
SAN GIOVANNI TEATINO – SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE
Lo scorso 5 novembre il Decreto 133/2014 “Sblocca Italia” è stato convertito in legge (legge 164/2014) con modifiche che non ne hanno alterato il significato. Si tratta del più grave attacco degli ultimi anni alla qualità della salute e dell'ambiente con l'estromissione dei cittadini dalle scelte che riguardano il presente e il loro futuro.
PER FERMARE QUESTO DISEGNO PROPONIAMO DI PROSEGUIRE LA MOBILITAZIONE GIA' AVVIATA .
Dal ciclo del cemento alle trivellazioni, dalle infrastrutture sovranazionali e nazionali alle bonifiche, dalla privatizzazione del servizio idrico all'incenerimento dei rifiuti le nuove norme aprono al saccheggio da parte di pochi profittatori di quel che rimane del patrimonio ambientale italiano. Una concezione anti-democratica che punta sull'economia accentrata e non su quella diffusa, scaricando i costi ambientali direttamente sui territori.
Riteniamo che la mobilitazione popolare possa e debba continuare.
L'attacco all'ambiente è stato così plateale che ha suscitato in poche settimane la reazione in tutte le regioni con centinaia di adesioni di organizzazioni e reti all'appello BLOCCA LO SBLOCCA ITALIA. Sono state realizzate decine di iniziative territoriali, da assemblee, a sit-in, da manifestazioni a cortei.
Grazie alla mobilitazione diverse regioni hanno votato per impugnare alcune norme del provvedimento.
Sono state introdotti nel passaggio alla Camera alcuni emendamenti che, seppur del tutto insufficienti a migliorare realmente il provvedimento, possono trasformarsi in un boomerang per il Governo e alle varie lobby. A mero titolo di esempio, per la questione idrocarburi è stato approvato un emendamento che rimanda le attività petrolifere all'approvazione di un Piano da parte ministeriale che dovrà individuare le aree aperte alla trivellazioni e quelle chiuse. Un Piano prevede obbligatoriamente la realizzazione preventiva della procedura di Valutazione Ambientale Strategica con il coinvolgimento di regioni, enti locali e la partecipazione dei cittadini. Territorio per territorio bisognerà mettere nero su bianco chi sarà dentro e chi sarà fuori, quale regione o quale provincia sarà sottoposta ad un futuro nero petrolio e quale no. Con un'eventuale campagna potremmo far diventare molto difficile questa scelta!
Un primo appuntamento è stato organizzato per domenica 7 dicembre a Napoli a cui parteciperanno molti comitati del centro-sud. Alcuni attivisti abruzzesi saranno di essere presenti per continuare a coordinarsi con le varie realtà che stanno provando a contrastare queste politiche.
Per l'area medio-adriatica (almeno Molise, Abruzzo e Marche) proponiamo la data di domenica 14 dicembre per svolgere a S. Giovanni teatino 8CH) un'assemblea per decidere tutti assieme l'opportunità e la possibilità di una campagna coordinata per i prossimi mesi.
Queste iniziative dovrebbero essere aperte a tutti a partire dalle organizzazioni locali che hanno già aderito e pubblicizzate adeguatamente per garantire un'ampia partecipazione.
Vorremmo discutere ed organizzare dal basso con gli altri comitati e reti un'eventuale campagna nazionale condivisa per contrastare le scelte governative.
DIFENDIAMO LA NOSTRA TERRA, BLOCCHIAMO LA LEGGE “SPORCA ITALIA”!
Prime adesioni:

Associazione Ambiente e salute nel Piceno, Forum dei territori Molisani, Forum Abruzzese Movimenti per l'Acqua, Nuovo senso Civico,Coordinamento NO TRIV Abruzzo, Comitati cittadini per l'Ambiente di Sulmona, Comitato Villablocc, Chieti, ARCI, Mountain Wilderness, Abruzzo Social Forum, Amici Riserva Punta Aderci, Comitato La Difesa, Zona 22 San Vito, Comitato NO Powercrop, Comitato NO Stoccaggio Gas San Martino, Comitato Abruzzese per la Difesa dei Beni Comuni, Associazione LEM Abruzzo, Associazione Stazione Ornitologica Abruzzese ONLUS, Associazione Peacelink Abruzzo, Associazione Antimafie Rita Atria, Ass. Zero Waste Teramo, CAST – Comitato Ambiente e salute del territorio, COBAS Abruzzo, Comitato difesa del territorio Equo, Ass. Bed and Breakfast parco Majella – Costa dei Trabocchi
Orso bruno avvistato vicino centrale Cernobyl
Da cento anni non si vedeva questa specie nella regione


Un orso bruno è stato fotografato vicino alla centrale nucleare di Cernobyl dalle fotocamere sistemate nell'ambito di programmi per il controllo della radioattività. Non si segnalava una simile presenza nella zona da un secolo e ciò - nota il quotidiano britannico Daily Mail che pubblica le foto - suggerisce una curiosa relazione tra diastri atomici e vita degli animali selvatici. Dopo l'incidente del 1986 è stata creata una "zona di esclusione" dal raggio di 30 chilometri e in cui fino a quel momento abitavano oltre 100mila persone. E' così stata involontariamente istituita una sorta di riserva naturale, dove gli animali possono vivere senza subire pressioni da parte dell'uomo. Non è la prima volta che in quest'area - definita dal giornale un paradiso naturale - vengono visti grandi mammiferi. Le fotocamere automatiche avevano già inquadrato cavalli, linci, lupi grigi, cinghiali. Ma è la prima volta che viene visto l'esemplare di una specie animale che era assente dalla zona da più di un secolo. La fusione nucleare che avvenne a Cernobyl nell'aprile 1986 ha provocato una grande dispersione di radioattività che dall'Ucraina si è sparsa in molti territori europei, Si calcola che la bonifica, ancora in corso, sia costata 18 miliardi di dollari.


domenica, dicembre 07, 2014

TROPPE DISCARICHE DI RIFIUTI IN ITALIA, SARANNO PIENE TRA DUE ANNI

ROMA - Con la nuova direttiva, l'Europa si prepara ad abbattere le quantità di rifiuti in discarica e ad aprire le porte a 870 mila nuovi assunti per rilanciare il settore. Ma l'Italia rischia di arrivare in ritardo all'appuntamento, appesantita da una lunga stagione di arretratezza gestionale che ha saturato gli spazi a disposizione: tra due anni le discariche esistenti saranno stracolme. Dove finiranno i 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti ogni anno?
L'allarme viene dal primo WAS Annual Report, il rapporto sulla gestione dei rifiuti preparato dalla società di ricerche Althesys: "Il mix italiano rimane ancora troppo sbilanciato sulle discariche  che in alcune aree del Paese sono la destinazione finale di oltre il 70 per cento dei rifiuti urbani prodotti. In questo quadro generale, le situazioni più critiche si registrano in Sicilia, Calabria, Lazio, Puglia e Liguria. Con i ritmi attuali di smaltimento, le discariche italiane si esauriranno entro i prossimi due anni".
Dunque non c'è solo il dramma della Terra dei fuochi e l'insidiosa mancanza di alternative che si è creata a Roma dopo l'annunciata chiusura di Malagrotta. Il ritardo è più generalizzato e riguarda il 42,3 per cento di rifiuti che continua a prendere la strada della discarica: una percentuale alta in modo anomalo che sbilancia l'intero sistema scoraggiando gli investimenti sulle filiere più avanzate. Ad esempio sul recupero dei materiali che provengono dalla raccolta differenziata, in particolare dall'umido che ormai viaggia a livelli soddisfacenti in molte aree del Paese, compresa la Campania (con l'eccezione di Napoli).

Secondo il Was, l'Italia è in deficit sia sul piano della capacità di incenerimento che  -  soprattutto  -  sul riciclo: "La revisione delle principali direttive Ue che regolano il settore fisserà obiettivi al 2030 molto sfidanti, come l'aumento del riciclo al 70 per cento e la sostanziale eliminazione delle discariche. Per arrivare a questo traguardo bisogna puntare sull'industrializzazione e sul consolidamento del settore, che ad oggi continua ad essere molto frammentato". Tra l'altro sono proprio le regioni meno dotate di discariche a norma quelle con i livelli di raccolta differenziata più bassi: ennesima dimostrazione di un ritardo nella gestione che abbraccia tutte le filiere.
"L'Europa si prepara a fare un altro salto: perdere questa opportunità vorrebbe dire rinunciare a decine di migliaia di posti di lavoro e rendere meno competitivo l'intero sistema produttivo nazionale", spiega Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys. "Mentre mettersi in linea con Bruxelles significa ottenere vantaggi consistenti in termini di occupati, fatturato, emissioni serra evitate, diminuzione dell'impatto ambientale del ciclo dei rifiuti. La posta in gioco è un pacchetto di vantaggi al 2030 che per l'Italia vale 15 miliardi di euro".

giovedì, dicembre 04, 2014

italia condannata

ITALIA CONDANNATA: MULTA DA 42 MILIONI DI EURO OGNI 6 MESI

BRUXELLES - L'Italia non ha rispettato la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2007 che ha constatato l'inadempimento alle direttive sui rifiuti. Per questo il nostro Paese è stato condannato a pesanti sanzioni pecunarie che prevedono il versamento di 40 milioni ogni sei mesi fino all'esecuzione della sentenza.
Galletti: "Non pagheremo un euro". "La sentenza della Corte di giustizia Europea sanziona una situazione che risale a sette anni fa. In questo tempo l'Italia si è sostanzialmente messa in regola", spiega il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti. "Siamo passati - spiega il ministro - da 4.866 discariche abusive contestate a 218 nell'aprile 2013. Una cifra che a oggi si è ulteriormente ridotta a 45 discariche. Con la legge di Stabilità 2014 sono stati stanziati 60 milioni di euro per un programma straordinario che consentirà di bonificare 30 delle 45 discariche rimaste, anche attraverso gli accordi di programma sottoscritti in questi giorni con le regioni Abruzzo, Veneto, Puglia e Sicilia. Le restanti 15 discariche abusive saranno bonificate con un ulteriore impegno di 60 milioni di euro". Galletti ha assicurato che "andremo in Europa con la forza delle cose fatte, lavorando in stretta collaborazione con le istituzioni Ue, per non pagare nemmeno un euro di quella multa figlia di un vecchio e pericoloso modo di gestire i rifiuti con cui vogliamo una volta per tutte chiudere i conti".

Le sentenze. Con una prima sentenza, nel 2007, la Corte ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti. Nel 2013, la Commissione ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche situate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva "rifiuti"; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva "rifiuti pericolosi"; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva "discariche di rifiuti". La Corte ricorda innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla  direttiva "rifiuti". Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. L'Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato.
Le sanzioni. La Corte trae la conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi. Di conseguenza, la Corte condanna l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni. La Corte rileva poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte condanna quindi l'Italia a versare una penalità semestrale a partire da oggi e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200mila euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre.
Multa record. La maximulta forfettaria di 40 milioni di euro, spiega un documento della corte Ue, è la sanzione pecuniaria più pesante mai inflitta dalla Corte europea da quando i Trattati le danno il diritto di imporre multe agli stati, e cioè dal 1992. Fino a oggi la multa forfettaria più eleveta era stata inflitta dalla Corte sempre all'Italia nel 2011 per aiuti di Stato illegali nella forma di sgravi fiscali per contratti di formazione lavoro. In quel caso la multa forfettaria era stata di 30 milioni e ha rappresentato il record fino ad ora. In totale la Corte ha inflitto finora una decina di multe, due delle quali all'Italia. Le altre hanno colpito Francia, Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. La Grecia è il paese che ne ha ricevute di più. (Fonte l’Espresso)





mercoledì, dicembre 03, 2014

ELETTROSMOG


AMBIENTE & VELENI
Sblocca Italia e elettrosmog: antenna selvaggia, i rischi legalizzati
Elettrosmog e Sblocca Italia, subito rinominata ‘Sblocca Antenne’. All’art. 6 “Agevolazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga” si insinua una mimetizzata deregulation per l’avanzata delle prossime infrastrutture a supporto della connettività permanente via cellulare: il trucco della legge Renzi sta nell’assenza di autorizzazioni per le multinazionali delle telecomunicazioni assegnatarie delle frequenze bandite dall’ultimo governo Berlusconi, che con l’escamotage dell’autocertificazione per manutenzione/modifica degli impianti già esistenti (le antenne spuntate come funghi sui palazzi!) potrebbero installarne indiscriminatamente di più forti e potenti, senza chiedere niente a nessuno.
E’ al varco l’irradiamento della frontiera della rete 4G (Quarta Generazione, Long Term Evolution, LTE): prevede l’innalzamento di quantità e velocità di trasmissione dati fino a 42M/bit al secondo (contro i 3 M/bit attuali, tecnologia 3G) per migliorare performance di onde Wi-Fi e prestazioni di smartphone, tablet&C. con l’inevitabile rischio di sforare i limiti soglia da inquinamento elettromagnetico. Che vuol dire? Che per ‘infondere’ la 4G dovranno rifare ex novo i ripetitori, perché quelli attuali sostengono un’altra tecnologia! E come li rifaranno? Senza autorizzazioni, grazie allo Sblocca Italia! E col pericolo di ulteriore elettrosmog!

Lo stratagemma, bypassando nulla osta paesaggistici sull’impatto ambientale, incoraggerebbe una prevedibile semina di antenne selvagge nuove di zecca, sempre più insidiose per la salute pubblica, visto l’esponenziale incremento di popolazione elettrosensibile e i casi di ripetitori fuori norma, non tutti monitorati delle ARPA regionali (6 V/metro il massimo nei centri abitati, spalmati nella rilevazione di 24 ore grazie alla furbizia dell’abbattimento dei picchi diurni nella notte – regalino alle TLC del Governo Monti – nonostante lo 0,6 V/metro da esposizione esterna cumulativa sia invece il limite per effetti biologici sull’uomo sostenuto nel Report 2012 dagli scienziati indipendenti del Bio Initiative Group).
Argini in costruzione invece a Roma. Dopo 20 anni di attesa e l’insabbiamento di una prpposta di iniziativa popolare supportata da 23.000 firme di cittadini, vagliati i pareri dei municipi, è prossimo al voto di Commissioni (Urbanistica e Ambiente) e Aula in Campidoglio il ‘Regolamento di Roma Capitale’ per disciplinare la giungla imperversante di antenne e ripetitori da inquinamento elettromagnetico. “Siamo cautelativamente ottimisti – la sintesi di Giuseppe Teodoro, portavoce del Coordinamento Comitati Romani contro l’Elettrosmog, intevenuto ieri ai microfoni de Il Nemico Invisibile, trasmissione radiofonica condotta dal giornalista Alessio Ramaccioni (coautore del libro inchiesta Onde Anomale – Editore Internazionale Riuniti)  – Vigileremo affinché il testo non sia aggredibile dai ricorsi delle compagnie telefoniche. Vorremmo un Regolamento dalle 3P:Pianificazione, Precauzione e Partecipazione popolare. Serve un catasto per Roma per mappare gli impianti in città, un registro per le indagini epidemiologiche che quantifichi le malattie ambientali e gli ammalati, oltre sanzioni certe per le antenne oltre i valori soglia”. Cioè fuori legge. Ovvero coniugare libertà di comunicazione, diffusione di tecnologie e tutela della salute. Pare poco, ma sarebbe il giusto.
Infine dal Centro di Riferimento della Regione Lazio per la diagnosi della Sensibilità Chimica Multipla (MCS è malattia ‘gemella’ dell’Elettrosensibilità) in questi giorni è stato rimosso il Prof. Giuseppe Genovesi, responsabile della struttura nello Sportello delle Malattie Rare al Policinico Umberto I di Roma, punto di riferimento per i malati di tutta Italia: “per motivazioni molto vaghe”, sostiene lui stesso sulla pagina Facebook. Strana coincidenza: l’incarico viene sollevato a Genovesi subito dopo l’intervista andata in onda la scorsa settimana su Italia 1, nel servizio “L’inquinamento che uccide!”. Informare l’opinione pubblica della pericolosità delle malattie ambientali fa più male… del male? (Fonte:il fatto quotidiano)




  

martedì, dicembre 02, 2014

TUMORI

INQUINAMENTO AMBIENTALE E TUMORI:
CI SONO POSTI IN CUI SI MUORE IN SILENZIO

i sono posti in cui ci si ammala e si muore in silenzio. Nel silenzio dei vivi. Specie di quelli che contano. Anche quando questo accade in maniera seriale. Anche quando le cause di quelle malattie e di quelle morti, con elevata probabilità logica, stanno nell’ambiente di quegli stessi posti; nella loro aria, nella loro acqua, nella loro terra, nei loro luoghi di vita e di lavoro. Brindisi è uno di quei posti. Le ragioni di quel silenzio possono essere varie.
Per esempio, la vicinanza “oscurante” con altri luoghi certamente ancora più martoriati nell’ambiente e nella salute pubblica, nei quali ultimi, però, vi sia anche un’altra, migliore, situazione socio-ambientale: una magistratura requirente più reattiva; un sistema dei mezzi d’informazione, locali e nazionali, più vigile; una cittadinanza, nel suo complesso, appena meno catatonica sotto il profilo civile. Uno di questi ultimi posti è Taranto. Nell’immaginario collettivo nazionale (e ormai internazionale), l’emergenza ambientale e sanitaria in Puglia è Taranto. E’ certamente vero.
A Brindisi si registra un costante eccesso di mortalità maschile, dagli anni ’80 fino all’ultimo dato del 2009; una prevalenza di Broncopatia Cronica Ostruttiva nelle donne del capoluogo; una maggiore incidenza e mortalità per alcuni tumori in prossimità dell’area industriale; un aumento complessivo del tasso di incidenza per tutti i tumori dal 1999 al 2006; una maggior incidenza di malformazioni neonataliin corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa (un marcatore di emissioni energetiche); incrementi di ricoveri e decessi per malattie cardio-respiratorie in corrispondenza di innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall’area industriale.
Questi sono dati sanitari acquisiti grazie a studi scientifici e a scienziati affidabili, anche perché indipendenti. Ma restano solo una fredda rilevazione scientifica, priva di ogni conseguenza “legale”. Anche quando questi dati parlano, urlano di patologie, di decessi di origine ambientale. Malati e morti a cui, quindi, si dovrebbe rendere almeno giustizia, se non si è stati capaci di evitarli.
Ma a Brindisi è storicamente più difficile avere giustizia, specie per chi si ammala e muore “di ambiente”, specie di ambiente di lavoro. In tutta Italia, da Mantova a Taranto ad Avellino, si esercita l’azione penale o addirittura si condanna per le morti da mesotelioma. E’ un tumore rarissimo e vuol dire esposizione all’amianto, dunque, con elevata probabilità logica, significa violazione della normativa in materia ambientale e, soprattutto, di sicurezza sul lavoro da parte di chi era tenuto a osservarla.
A Brindisi, un oncologo, il dott. Maurizio Portaluri, primario del reparto di radioterapia dell’Ospedale Perrino, denuncia di aver refertato all’Autorità Giudiziaria, dal 2001 al 2013, 5 mesoteliomi in lavoratori delle industrie brindisine, oltre a vari altri tumori (tra cui l’altrettanto famigerato angiosarcoma) estremamente indicativi di esposizioni professionali.  Ad oggi non risultano processi penali per questi fatti. Forse le indagini sono in corso.
Sono certamente indagini complesse, richiedono tempo, specie per l’individuazione dei possibili responsabili delle azioni od omissioni penalmente rilevanti. Ma il codice di procedura penale afferma ancora che, per questo tipo di reati, le indagini preliminari durano “6 mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di reato”, prorogabili per lo stesso termine “per non più di una volta”.
E quei referti, a quanto dice l’oncologo, sono arrivati in Procura da anni. “Quando si muore, si muore soli”, canta il poeta di via Del Campo. Quando si muore senza giustizia è peggio, anche per chi resta. Perché rendere giustizia a chi è morto in maniera “innaturale”, a tacer d’ogni altra considerazione, resta il modo migliore per prevenire altre morti analoghe. (Fonte: Ambiente & Veleni)


lunedì, dicembre 01, 2014

INQUINAMENTO DA OZONO, ITALIA MAGLIA NERA D’EUROPA:
3400 MORTI OGNI ANNO


Italia: terra di mare, boschi e colline e  aria inquinata. E’ il nostro il Paese in Europa con il più alto numero di morti premature per inquinamento da ozono, con circa 3.400 vittime all’anno. Il secondo poi per le polveri sottili, con oltre 64mila morti, preceduta solo dalla Germania, terra di industria pesante, miniere di carbone, acciaierie e industrie chimiche. A dirlo è l’ultimo rapporto Air Quality 2014 dell’Agenzia europea dell’ambiente
Di buone notizie non ce ne sono. Nonostante infatti la riduzione delle emissioni e delle concentrazioni di alcuni inquinanti nell’aria negli ultimi decenni, il rapporto dimostra che l’inquinamento atmosferico è ancora il principale nemico dell’ambiente, collegato a filo diretto con la salute umana. Si parla di milioni di persone con problemi respiratori o cardiaci, costretti ad alternarsi tra il medico di base e il farmacista. E di 400mila morti premature in Europa (dato 2011) per malattie al cuore, ai polmoni o ictus. Questo perché, secondo la relazione, quasi tutti gli abitanti delle città (circa il 95%) vive sotto un cielo inquinato, anche, chiaramente, i bambini. Le percentuali di sostanze inquinanti superano, infatti, nella maggior parte delle 400 città analizzate, i livelli ritenuti non sicuri dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Stiamo parlando di polveri sottili, monossido di carbonio, ossidi di azoto, ozono, metalli tossici, benzene e molto altro. Immessi nell’aria da industrie, auto, rifiuti, agricoltura intensiva. Sono sostanze estremamente pericolose per l’organismo umano ma tutte presenti nell’aria a quantità, in alcune Paesi e città, eccessive. E l’Italia è tra questi. Guardando infatti la mappa delle concentrazioni di inquinamento atmosferico in Europa, risulta essere una zona a bollino rosso. In particolare laPianura Padana, assediata soprattutto da polveri sottili e ossidi di azoto, che rimane tra le zone più inquinate del continente.
Per quanto riguarda il monossido di carbonio (che è un prodotto della combustione di organici, come carbone, olio e legno), le nove stazioni di misura che hanno superato il limite di legge, sono tutte nel Belpaese. Le situazioni più critiche per le polveri sottili e per l’ozono sono state registrate, oltre che in Italia, Bulgaria, Polonia,Slovacchia, Turchia, Repubblica Ceca, Romania. Mentre per gli ossidi di azoto e il benzopirene (contenuto nel catrame di carbone fossile), ai Paesi citati sopra, si aggiungono anche Austria,Germania, Francia e Regno Unito.
Nel dettaglio, per quanto riguarda l’Italia, l’inquinamento atmosferico è concentrato nelle zone urbane, prevalentemente nel nord. Ma tutta l’aria dello Stivale è seriamente inquinata con concentrazioni eccessive di ozono (anche se in diminuzione) e di biossido di azoto (la cui fonte principale rimangono i veicoli). In aumento poi da nord a sud del Paese – anche se in questo caso la situazione più critica è nei Paesi dell’est Europa – è il benzopirene, aumentato di oltre un quinto dal 2003 al 2012 e che proviene dall’uso urbano di stufe a legna e centrali a biomasse. Le fonti principali di inquinamento in Italia però rimango auto e industrie.
Tutto questo, sottolinea l’agenzia europea, ha un impatto notevole sulla salute dell’uomo. Le persone più esposte all’inquinamento atmosferico sono anche quelle che alzano le percentuali di malattie cardiovascolari e polmonari e quelle, quindi, con la più alta percentuale di morte prematura. I picchi di mortalità si hanno appunto in Italia, in Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Romania, Polonia e Ungheria. Oltre alle preoccupazioni di natura sanitaria, poi, il rapporto solleva anche i problemi puramente ambientali legati all’inquinamento atmosferico, come l’eutrofizzazione, un processo che avviene quando una quantità eccessiva di azoto danneggia gli ecosistemi, mettendo a rischio la biodiversità. “Serve ridurre le emissioni nocive da industria, traffico, impianti energetici e agricoltura – si legge nella relazione – con l’obiettivo di ridurre il loro impatto sulla salute umana e ambiente”.

Immediate le reazioni al report delle associazioni ambientaliste. “I dati dell’EEA  sono l’ulteriore conferma di un’emergenza che colpisce il nostro Paese ormai da troppo tempo, con l’area della Pianura Padana, ancora una volta tra le più critiche d’Europa”.  (Fonte: Ambiente & Veleni)