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mercoledì, dicembre 22, 2010


I MILIARDI SPRECATI DALL'ITALIA PER L'EMISSION TRADING
L'Italia rischia di sperperare 2,2 miliardi nell'ambito dell Emission Trading Scheme europeo. Tutto a causa dell'eccessiva generosità del governo verso le grandi aziende nostrane che peraltro lucrano sul meccanismo investendo all'estero in riduzioni della CO2 "finte". Un report dell'Ong Sanbag sul sistema ETS in Italia.



L'Italia rischia di sperperare 2,2 miliardi di euro per l'acquisto di crediti esteri di anidride carbonica. Soldi sottratti alla decarbonizzazione dell'economia nazionale necessaria all'obiettivo 2020. Tutto per favorire eccessivamente certe aziende. Arriva daSanbag, Ong britannica molto attiva nel controllare il mercato delle emissioni, un report che denuncia quello che non va nella gestione italiana dell'Emission Trading Scheme europeo (EU-ETS).
“Mentre il governo italiano avrà bisogno di spendere (entro il 2012, ndr) 1,7 miliardi euro di denaro pubblico per rientrare nei parametri di Kyoto, 2,5 miliardi di euro di permessi sono stati distribuiti gratuitamente generando guadagni spropositati a favore di compagnie quali il Gruppo Riva, Edipower e Italcementi", sintetizza Damien Morris, uno degli autori del report. In più le imprese italiane soggette all'Emission Trading pagheranno nel periodo 2008-2012 altri 500 milioni di euro per trasferire le proprie riduzioni di emissioni all'estero, anziché investire in ambito nazionale. E lo faranno acquistando in gran parte"aria calda", ossia quei titoli che non portano a una reale diminuzione delle emissioni, come i permessi in eccesso dai paesi dell'Est dopo il crollo delle loro economie o i molto discussi crediti offset ricavati dalla distruzione di alcuni gas industriali.

 



Un documento, quello che proponiamo in allegato nella traduzione italiana, che vale la pena di leggere con attenzione e che non a caso si apre con due citazioni famigerate. Una è quella del 2008 del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in cui paragona lo sforzo per ridurre le emissioni europeo a quello di “uno che ha la polmonite e pensa di farsi la messa in piega” e una seconda è quella del ministro per l'Ambiente Stefania Prestigiacomo, rilasciata a giugno 2010, in cui spiega che “è evidente che le condizioni per passare dal 20 al 30% non ci sono (… ) L'Italia non è assolutamente disponibile'' ad avvallare il passaggio unilaterale dal 20% al 30% di riduzione del CO2.
Parole significative dato che, come spiegano da Sandbag, l'atteggiamento italiano di “considerare i limiti alle emissioni come un costo punitivo da dover sopportare, piuttosto che come un’opportunità di sviluppo" ha dato luogo a “una profezia auto-avverante": per soddisfare gli obiettivi concordati a Kyoto, l’Italia si troverà a spendere all’estero miliardi di euro per la riduzione di emissioni, soldi che il paese avrebbe potuto invece utilizzare per il miglioramento delle infrastrutture energetiche nazionali e consolidare così la sicurezza energetica del Paese.

 



Per evitare di trovarsi nella situazione di mancare l'obiettivo di Kyoto – si spiega - per il periodo 2008-2012, l’Italia avrà bisogno di acquistare 181 milioni di tonnellate (Mt) di permessi ad emettere per un costo di circa 1,8 miliardi di euro. Ma è ancora più assurdo che durante lo stesso periodo il governo italiano – protettivo nei confronti delle grandi industrie - andrà a distribuire 166 Mt di permessi gratuiti:"crediti per un valore di 2,5 miliardi di euro ad impianti industriali che fondamentalmente non ne hanno alcun bisogno. Se l’Italia avesse sostenuto uno sforzo più consistente nei settori coperti dal sistema di emission trading, adottando dall'inizio un Piano Nazionale di Allocazione (PNA) privo dei 166 Mt in eccesso, il paese avrebbe ora bisogno di acquistare solamente 15 Mt di crediti Kyoto, riducendo così la spesa complessiva di 1,7 miliardi di euro."
“In maniera del tutto inusuale - si spiega - l’Italia ha infatti compiuto sforzi straordinari per proteggere le compagnie elettriche domestiche
tramite allocazione di generosi volumi di permessi gratuiti”. Quattro delle dieci maggiori imprese “carbon fatcats”, ossia eccessivamente ricche di permessi gratuiti, operano nel settore energetico: Edipower, Eni, E.ON e A2A.

"Si tratta di una strategia alquanto insolita – commenta Sandbag - considerando che le società italiane per la produzione di energia elettrica non operano in un mercato altamente competitivo." E quel che è peggio queste compagnie, oltre ad essere favorite, anziché stimolate, a ridurre le emissioni,lucrano sul meccanismo: stanno traendo guadagni finanziari ingenti consegnando crediti offset (che hanno un valore di mercato minore e sono acquisiti tramite progetti di compensazione nei paesi in via di sviluppo), invece dei permessi ad emettere (EUA - European Union Allowances) in eccesso, che invece rivendono sul mercato con lauti guadagni.
Proprio i crediti offset sono un'altra parte del problema. Nonostante i permessi in eccesso assegnati a molte aziende, infatti, le imprese italiane entro il 2012, si prevede, dovranno acquistarne dall'estero per circa 40,3 Mt. In pratica nel periodo 2008-2012 solo 1,5 Mt di riduzioni saranno effettivamente fatte in Italia, contro più di un miliardo di tonnellate emesse durante l'intero periodo:cioè lo 0,15%.

 


E se dall'estero si compreranno anche EUA, con scarso valore nella lotta al global warming, come i permessi in eccesso dai paesi dell'Est Europa in seguito al crollo delle loro economie, anche l'acquisto di offset nei paesi in via di sviluppo con cui verrà probabilmente colmato quasi interamente il deficit (38,8 Mt CO2 sui 40,3) rischia di essere una beffa. Al momento infatti si scopre dal report che l'87% dei crediti offset acquistati dalle aziende italiane viene dai discussi progetti di distruzione di gas come l'HCF-23, progetti sotto inchiesta perché accusati di causare un aumento delle emissioni anziché una diminuzione (Qualenergia.it, Il CDM e quelle riduzioni di gas serra 'finte').
Come creare un mercato delle emissioni italiano più sano ed efficace? “Se l’Italia introducesse politiche più stringenti per abbattere le emissioni nazionali, potrebbe scoraggiare le società italiane dall'acquisto di permessi da altri paesi europei e di crediti offset da paesi al di fuori dell'Unione”, sottolineano gli autori del report. E per la fase successiva dell'ETS si potrebbe fare di più e trasformare finalmentein un'opportunità la riduzione delle emissioni: “Ambizioni maggiori potrebbero addirittura incanalare denaro verso l'Italia, generando crediti (EUA) che le imprese nazionali potrebbero vendere ad altre compagnie continentali. Ciò è particolarmente vero dopo il 2013, quando l'armonizzazione delle regole in sede comunitaria porrà le imprese tutte sullo stesso piano. Se da un lato ciò potrebbe rendere più oneroso per le industrie sottoposte ad ETS rientrare nei tetti di emissioni assegnati, dall'altro l'armonizzazione delle regole potrebbe assicurare che l'Italia avrebbe tutto da guadagnarci dall'ottemperare ai propri obblighi.”



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